La maestra mi chiese di scrivere un
tema sulla primavera, i miei compagni si chinarono tutti, per cercare di farsi
venire un'idea, perché parlare di qualcosa di astratto è sempre difficile.
Io guardai fuori dalla finestra, era lì
la primavera e allora pensai:
"Che senso aveva scrivere della
primavera se questa tanto cara primavera stava fuori dalla finestra?"
Ma iniziai lo stesso, perché da bambina
ero solita obbedire a scuola.
Scrissi "La primavera" e
questa adesso prendeva forma, era una parola scritta sul mio foglio e sembrava
sempre meno astratta.
Piano piano pensai a tutto ciò che mi
ricordava la primavera: Pensai all'azzurro del cielo, alle fragole, ai
campi verdi, alla gioia che provavo nel sentire il profumo delle rose del
mio terrazzo.
Poi cercai di legarle queste parole, e
consegnai il tema alla maestra, ed ero sempre la prima a consegnare,
proprio per l'impazienza di vedere l'espressione di chi leggeva le cose che
scrivevo.
Uscita da scuola, passavo sempre per il
parco per tornare a casa era il mio ultimo anno di elementari e stavo
crescendo, la cosa mi metteva molta ansia perché mia madre mi aveva detto che
il mio corpo sarebbe cambiato, come la natura faceva cambiare tutte anche io
sarei cambiata con l'avanzare del tempo.
Mi sedetti sul muretto del parco ed una
rondine si posò sulla mia spalla, rimase lì per un lungo momento, mi batteva il
cuore, ero sopraffatta dall'emozione, non riuscì neanche a girarmi che la
rondine volò via dalla mia spalla destra.
Per me a 10 anni era una cosa
straordinaria da provare.
Qualche giorno dopo la maestra mi
riconsegnò il compito, mi disse che ero uscita fuori Tema, come sempre ma che
quello che avevo scritto era bellissimo.
Andai a casa per leggere ai miei fratelli e
mia madre cosa avessi scritto, ma mi sembrava di leggere le parole di un'altra.
"Giulia, perché hai smesso di leggere?", mi chiese mia madre.
"Perché non mi piace più".
Mia madre, capì che stavo cambiando
perché pensava che stessi sviluppando il mio senso di autocritica e quindi era
contenta.
In realtà io, ero solo triste, di questo
mio cambiamento che mi stava sconvolgendo.
Si, ero stata la prima a consegnare, ero
uscita fuori tema e a scrivere cose bellissime, ma nulla di quello che avevo
detto sulla primavera era mio, questo pensai.
Ogni frase, ogni osservazione non aveva
niente a che fare con quello che avevo sentito, invece il batticuore che avevo
provato dopo che la rondine si era posata sulla mia spalla, quello era
verissimo.
Ciò che avevo messo nel tema lo avevo
messo, soltanto immaginando le cose che gli altri si aspettavano che io
mettessi.
Avevo scritto che la primavera ci
avrebbe reso tutti felici.
Ma io non lo ero, nessuno mi sembrava in
realtà felice per la primavera, avevo parlato di prati e di fiori, ma non li
desideravo vedere, anzi li avevo sentiti dalle poesie, dalle storie imparate a
memoria.
Succedeva questo con me, che le parole
tiravano appresso i sentimenti che non condividevo affatto.
Vedevo che questo piaceva agli
altri, e allora continuai così decisi di scrivere sempre temi, non per dire
quello che pensavo ma per dire quello che gli altri si aspettavano che dicessi,
e i temi diventarono poi racconti .
Una volta però scrissi esattamente il
contrario di quello che richiedeva la traccia, e mi dissero che non bisognava
disobbedire alle parole scrivendo esattamente il contrario di quello che le
parole mi suggerivano.
Se la maestra deve richiamare la parola
BUONA, non è che scrivendo l'opposto ovvero, CATTIVA che si risolve la situazione, e
cercai poi di applicarlo alla vita reale, ma anche lì non era così facile come
mi avevano detto.
Quindi non capì se dovevo sapere chi
fossi per cercare le parole vere, o cercando le parole vere in modo di poter
poi scoprire chi sarei stata.
Che cosa c'è dietro le parole ? c'è
qualcosa o niente? e se avessi scritto che avevo avuto un batticuore dopo che
la rondine si era posata su di me, come avrei potuto comunicarlo agli altri per
farglielo percepire quel batticuore?
Allora cercai nella scrittura, la forza
per comunicare i sentimenti, le mie paure, le emozioni che dalle parole non
sono mai riuscita ad esprimere, né forse potrei mai fare, e così ho
continuato per tanti anni e continuo tutt'ora, la scrittura sarebbe poi stata come un luogo in cui avrei incontrato gli altri.
Anche a te, vorrei dirti tante cose ogni
volta che ti incontro, ma non ci diciamo mai niente, tu mi sembri anche
imbarazzato quando succede, oppure fai finta di non vedermi quando puoi.
Eppure sono qui a ricordarmi di
circostanze passate, e per farti capire che se non ti parlo non è perché non ho
nulla da dirti, ma è che dovrei girare con dei post-it perennemente e
attaccarteli addosso, e uno per uno farteli poi togliere a casa, quando non
sono davanti a te.
Dovrei iniziare a scriverti lettere ma
non so il tuo indirizzo preciso, e non potrei iniziare a metterti lettere
nella cassetta della posta, altrimenti i vicini si chiederebbero troppe cose,
la portinaia le spierebbe e tu ti sentiresti a disagio ogni volta che
scendi le scale nel vedere quella pila di lettere, e io questo non lo vorrei
mai.
Non mi ricordo poi come andò a finire la
storia del mio cambiamento, successe e basta, ricordo però che una volta, mi
chiesero di parlare di Napoleone in un tema, e delle sue imprese.
E quella volta consegnai il foglio in
bianco, allora la maestra chiamò mia mamma per chiedere se andasse tutto bene.
Mia madre si limitò a dire che in
quel periodo le sembravo un po' apatica, ma che sarebbe passato.
Ma né la maestra né mia madre potevano
immaginare che su quel foglio bianco, io stavo cercando faticosamente me
stessa.