domenica 17 luglio 2016

Nei temi a scuola uscivo sempre fuori tema

La maestra mi chiese  di scrivere un tema sulla primavera, i miei compagni si chinarono tutti, per cercare di farsi venire un'idea, perché parlare di qualcosa di astratto è sempre difficile.
Io guardai fuori dalla finestra, era lì la primavera e allora pensai:

"Che senso aveva scrivere della primavera se questa tanto cara primavera stava fuori dalla finestra?"

Ma iniziai lo stesso, perché da bambina ero solita obbedire a scuola.
Scrissi "La primavera" e questa adesso prendeva forma, era una parola scritta sul mio foglio e sembrava sempre meno astratta.

Piano piano pensai a tutto ciò che mi ricordava la primavera: Pensai all'azzurro del cielo, alle fragole, ai  campi verdi, alla gioia che provavo nel sentire il profumo delle rose del mio terrazzo.
Poi cercai di legarle queste parole, e consegnai il tema alla maestra,  ed ero sempre la prima a consegnare, proprio per l'impazienza di vedere l'espressione di chi leggeva le cose che scrivevo.

Uscita da scuola, passavo sempre per il parco per tornare a casa era il mio ultimo anno di elementari e stavo crescendo, la cosa mi metteva molta ansia perché mia madre mi aveva detto che il mio corpo sarebbe cambiato, come la natura faceva cambiare tutte anche io sarei cambiata con l'avanzare del tempo.

Mi sedetti sul muretto del parco ed una rondine si posò sulla mia spalla, rimase lì per un lungo momento, mi batteva il cuore, ero sopraffatta dall'emozione, non riuscì neanche a girarmi che la rondine volò via dalla mia spalla destra.
Per me a 10 anni era una cosa straordinaria da provare.
Qualche giorno dopo la maestra mi riconsegnò il compito, mi disse che ero uscita fuori Tema, come sempre ma che quello che avevo scritto era bellissimo.

Andai a casa per leggere ai miei fratelli e mia madre cosa avessi scritto, ma mi sembrava di leggere le parole di un'altra. "Giulia, perché hai smesso di leggere?", mi chiese mia madre.

"Perché non mi piace più".

Mia madre, capì che stavo cambiando perché pensava che stessi sviluppando il mio senso di autocritica e quindi era contenta.
In realtà io, ero solo triste, di questo mio cambiamento che mi stava sconvolgendo.
Si, ero stata la prima a consegnare, ero uscita fuori tema e a scrivere cose bellissime, ma nulla di quello che avevo detto sulla primavera era mio, questo pensai.

Ogni frase, ogni osservazione non aveva niente a che fare con quello che avevo sentito, invece il batticuore che avevo provato dopo che la rondine si era posata sulla mia spalla, quello era verissimo.
Ciò che avevo messo nel tema lo avevo messo, soltanto immaginando le cose che gli altri si aspettavano che io mettessi.

Avevo scritto che la primavera ci avrebbe reso tutti felici.
Ma io non lo ero, nessuno mi sembrava in realtà felice per la primavera, avevo parlato di prati e di fiori, ma non li desideravo vedere, anzi li avevo sentiti dalle poesie, dalle storie imparate a memoria.

Succedeva questo con me, che le parole tiravano appresso i sentimenti che non condividevo affatto.
Vedevo  che questo piaceva agli altri, e allora continuai così decisi di scrivere sempre temi, non per dire quello che pensavo ma per dire quello che gli altri si aspettavano che dicessi, e i temi diventarono poi racconti .

Una volta però scrissi esattamente il contrario di quello che richiedeva la traccia, e mi dissero che non bisognava disobbedire alle parole scrivendo esattamente il contrario di quello che le parole mi suggerivano.
Se la maestra deve richiamare la parola BUONA, non è che scrivendo l'opposto ovvero, CATTIVA che si risolve la situazione, e cercai poi di applicarlo alla vita reale, ma anche lì non era così facile come mi avevano detto.

Quindi non capì se dovevo sapere chi fossi per cercare le parole vere, o cercando le parole vere in modo di poter poi  scoprire chi sarei stata.

Che cosa c'è dietro le parole ? c'è qualcosa o niente? e se avessi scritto che avevo avuto un batticuore dopo che la rondine si era posata su di me, come avrei potuto comunicarlo agli altri per farglielo percepire quel batticuore?

Allora cercai nella scrittura, la forza per comunicare i sentimenti, le mie paure, le emozioni che dalle parole non sono mai riuscita ad esprimere, né forse potrei mai fare,  e così ho continuato per tanti anni e continuo tutt'ora, la scrittura sarebbe poi stata come un  luogo in cui avrei incontrato gli altri.

Anche a te, vorrei dirti tante cose ogni volta che ti incontro, ma non ci diciamo mai niente, tu mi sembri anche imbarazzato quando succede, oppure fai finta di non vedermi quando puoi.

 Eppure sono qui a ricordarmi di circostanze passate, e per farti capire che se non ti parlo non è perché non ho nulla da dirti, ma è che dovrei girare con dei post-it perennemente e attaccarteli addosso, e uno per uno farteli poi togliere a casa, quando non sono davanti a te.

Dovrei iniziare a scriverti lettere ma non so il tuo indirizzo preciso, e non  potrei iniziare a metterti lettere nella cassetta della posta, altrimenti i vicini si chiederebbero troppe cose, la portinaia le spierebbe  e tu ti sentiresti a disagio ogni volta che scendi le scale nel vedere quella pila di lettere, e io questo non lo vorrei mai.

Non mi ricordo poi come andò a finire la storia del mio cambiamento, successe e basta, ricordo però che una volta, mi chiesero di parlare di Napoleone in un tema, e delle sue imprese.
E quella volta consegnai il foglio in bianco, allora la maestra chiamò mia mamma per chiedere se andasse tutto bene.
 Mia madre si limitò a dire che in quel periodo le sembravo un po' apatica, ma che sarebbe passato.


Ma né la maestra né mia madre potevano immaginare che su quel foglio bianco, io stavo cercando faticosamente me stessa.

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