martedì 13 dicembre 2016

Lettera a uno sconosciuto

La sera torni a casa stanco e mi trovi in cucina a preparare la cena, posi la giacca frettolosamente facendola scivolare dall'attaccapanni, senti allora le mie urla provenire dalla cucina: "Posa bene la giacca".


Torni indietro, la sistemi e corri in cucina, coprendomi gli occhi, mi baci poi sul neo dietro al collo, sì, proprio quello il tuo preferito, poi mi giri e mi annusi e solo dopo aver strofinato con cura la tua guancia destra alla mia sinistra mi dici, così per farmi innervosire" Ed anche oggi non mi sei per nulla mancata".


Nelle sere d'estate usciamo sempre durante la settimana perché a Milano escono tutti e da fuori io e te sembriamo anche molto diversi: 
tu forte, tu determinato, sempre svelto a passo felpato, tu macchina da guerra.

Io distratta, io sognatrice, io con la testa altrove, il punto di contatto è la nostra sensibilità, la potente fragilità con cui stiamo nel mondo. 


E non posso che esserti grata, no? Se non ti avessi con me sarei dispersa in qualche galassia lontana, in balia di venti solari e sommersa tra le mie distrazioni e i miei pensieri, per fortuna ci sei tu che mi prendi per mano e mi riporti a casa, nelle sere in cui si beve troppo vino, per fortuna ci sei tu che metti in ordine nella stanza mi metti il pigiama al rovescio perché sai quanto odio sistemarlo di mattina e allora me lo ritrovo togliendolo, nel verso giusto e cerchi di farmi addormentare, raccontandomi quella storia della ragazza che decide di scegliere il mare alla terra che mi raccontava mia madre e ti ricordi di mettere la sveglia, si esatto le 07:14 non un minuto in più né uno in meno, sai quanto io odi la precisione dei gesti e degli orari, il 14 va benissimo.


La mattina sei la bomba che risveglia tutto il quartiere, sei il terremoto che scuote le faglie, sei l'infinita dolcezza della parola buona sussurrata con discrezione, assieme alla frase "il caffè è pronto".
Sei l'intimità sorprendente, sei quel sapone che lava via tutto, appena entri nella doccia e senti freddo, ti si scioglie nelle mie mani quando la tristezza preme e lavi via anche quella, la mia malinconia perenne, sei la destinazione di ogni parola buona detta prima di augurare buona giornata, amore mio.


E io? Beh, cosa potrei fare con uno come te?
Ti dedicherei una poesia al giorno, pensa che per emozionarmi mi basta guardarti mentre cambi canale, tu invece sei meno esplicito, le tue poesie non vengono scritte ma rivelate, parlano gli occhi quando ti commuovi guardando "love story", parlano le dita quando mi suoni Debussy al pianoforte, parlano le parole non pronunciate. 

Sei un uomo adulto, non hai più tempo per queste cose, sai quello che vuoi, io sono un'iniezione di letteratura imprevedibile, una ragazza perbene che ogni sera ti alleggerisce da ansie e paure. 


E le notti di inverno quando hai i piedi e le mani fredde, tremi e mostri un graffio sul cuore io sono lì che ascolto , ti riscaldo e curo.
Non mi troverai mai distratta come al solito, non mi troverai mai brutale, anche le macchine da guerra ogni tanto piangono e io sono pronta ad asciugare tutta quella bella ferraglia che porti addosso.  Te lo ricordi vero?
Il punto di contatto è un punto in cui tu riesci a riconoscerti in me, il nostro essere fragili soli ma tanto forti insieme. 


Sembriamo davvero perfetti insieme io e te.
Solo c'è un piccolo problema, che tu in questo momento non esisti ancora, ma è bello immaginarti e scriverti a mia volta parole immaginarie, da sognatrice quale sono, è bello fare dediche a persone che non esistono, sembrano senza senso, invece il senso cel'hanno e come:
Mi piace inventarti, e con stupore mi entusiasmerà scoprire, svoltato l'angolo tra via Scaldasole e Corso di porta ticinese, in un mattino, un po' freddo di aprile, di vedere quel cappotto, lo stesso che scivola dal mio attaccapanni ogni sera, di scorgere quel passo felpato, mi sembrerà di intravedere nella fessura tra un bottone e l'altro, quel tuo cuore un po' graffiato.
E credimi, sarà davvero una gioia immensa credere di averti finalmente trovato.

mercoledì 7 dicembre 2016

Quando i corvi incontrano le rondini

La notte in cui mi hai sedotto, camminavo in via Mascheroni, tra un castagno ed un pino dove ci sono le case delle persone benestanti a Milano e sapevo già che la luce della luna mi avrebbe impedito di dormire penetrando nelle fessure della mia serranda rotta, quella notte.

Tu eri appoggiato dietro ad un albero e rimanesti a guardarmi a lungo, io feci quell'espressione di quando so che qualcuno mi sta guardando, e dato che sono molto goffa quasi inciampai per l'emozione.
Mi sentì avvolgere, prendere dal tuo sguardo che sospese ogni mio pensiero ogni mia volontà di poterti sfuggire.
 La luna era in movimento quella notte alterava le sue relazioni con il cielo e con la terra, partecipava con la luce, fu la luce della luna a volerci unire in una domenica notte.
La luna vide tutto, e ci conobbe, seguì il nostro gesto, il nostro pensiero, inutile ingannarla. La luna si fa prendere perché fugge eternamente, l'amore fa come la luna fugge per essere preso.
Eppure l'amore ci prende sempre.

Mi è piaciuto spostarti i capelli, in modo che ti si vedessero bene quelle linee che hai vicino agli occhi, le chiamano volgarmente zampe di gallina, ma a te stanno benissimo, ti contornano lo sguardo, sembrano essere state delineate alla perfezione con temperino di un intarsiatore di mobili, le cornici per quelle mandorle scure, impenetrabili che nemmeno i raggi della luna riuscivano ad illuminare ma rimanevano fisse aspettando sotto la loro veglia che io mi addormentassi.

Anche l'amore non voluto ci prende e ci cambia, se l'abbiamo rifiutato ci vela gli occhi di rimpianto e ci dà quella tristezza quel qualcosa che ci manca. Se lo accettiamo ma non può esserci allora stiamo fermi e aspettiamo che ci invada.
"Avrei voluto conoscerti prima."
Mi hai detto socchiudendo un po' quelle mandorle nero pece.
"Io vorrei che non mi conoscessi mai invece, quando conosci le persone ti stanchi, vorrei rimanere per te la novità eterna, la fonte di ogni piccolo stupore, l'attimo di imprevedibilità sempre vivo nella tua quotidianità"
"Ma quindi potresti fuggire da un momento all'altro e non tornare mai?"

Chi riesce a fuggire senza essere preso, qualcosa ha perso.

"Ma tu sei così distante da me, e raggiungerti per come corri veloce sarebbe impossibile."

La notte non era ancora abbastanza lunga per noi, così decidemmo di allungarla ancora un po' rimanendo svegli fino all'alba o quasi.
Ed ecco così com'ero entrata di notte così uscivo di notte.

"Me ne vado perché ho paura di non trovarti, di arrivare e non vederti più qui, dove ti penso quando non sono con te.

Posso tornare solo di notte, lo sai, solo con la luna. Di giorno seguo altri viaggi, di giorno io e te non esistiamo, tu vivi la notte, Il giorno è il tuo nemico.

Il giorno mi porta tra le persone che mi conoscono, ed io non voglio conoscerti, il mio amore per te non prevede di essere conosciuto è destinato a rimanere ignoto a vita e non prevede assenze ma eterne piccole presenze.

Devo pensare che quando ti vedo so dove sei e cosa fai, devo sapere che esisti come ti ho lasciato, che nemmeno un movimento piccolo ti cambi e so che tu non sopporteresti questo.

Se non vorrai questo io sentirò sempre il tuo sguardo, quello che tutte le notti mentre camminavo mi accompagnava fino sopra a casa per lasciarmi addormentare.

Tu adesso dormi, io ti starò lontana.
Sognami, non era questo che facevi quando la notte mi guardavi correre ? non era sognarmi?
 Ebbene continua...
Se sogni baci e notti insonni passate insieme ad amarci, adesso sai che sono veri, perché il piacere non è l'istante: il piacere è ciò che proietta in avanti il tempo, diventando desiderio.






martedì 25 ottobre 2016

Poesia distratta per un'amica attenta


Sono tornate dalla guerra senza sapere di averla vinta o persa.

Hanno coperto le ferite con bracciali di stoffa, con tovaglioli di carta riciclabile e con parole d'affetto e conforto li hanno cuciti e poi hanno tracciato colori vivi sulla pelle, le hanno disinfettate ogni giorno la sera con le tisane e poi una volta rimarginate le hanno coperte con il fondotinta, affinché non si vedessero i segni lasciati, in modo che l'una non sapesse dov'era nascosto il dolore dell'altra.

Hanno costruito un amuleto in modo da proteggerle insieme, dietro un unico scudo fatto di seta, di parole e di risa, di vino rosso, di canzoni stonate e piscine comunali, e di sera davanti ad una tavola vuota, l'hanno riempita soltanto con i pensieri più ameni.

La mattina si sono svegliate con i passi svelti per il freddo sentito ai piedi, e sono uscite spinte da nuovi sentimenti, dalle buone intenzioni, per sentirsi al telefono, portarsi le caramelle, e volersi bene con nuove parole, per avere la faccia ogni giorno serena, come sempre in modo che le faccia più belle, al punto di non volerle sapere mai sole.





A Maria Sole

lunedì 17 ottobre 2016

Tutto su mia madre

Vorrei tornare nella tua casa,
sentire le gambe stanche di mare, tu che corri in cucina a preparare di fretta ed io che ti aiuto a mettere a posto la spesa.


Vorrei vederti addormentare sul divano, così sfinita di parole, dei pensieri del domani, con la tua pelle di carta, con le tue ciglia che si muovono lentamente come le piume, delicate.

La mattina vorrei svegliarmi col suono dei tuoi passi in corridoio, con la macchinetta del caffè che prepari e mi piacerebbe sentire la tua risata al telefono, un po' ovattata perché fai piano, per non svegliarmi.

Vorrei poi ascoltare qualche tuo rimpianto, qualche tua piccola memoria, che si confonde coi rumori delle stoviglie, che mi racconti di qualche cosa persa e poi trovata tra  un primo e un contorno per poi finire con il dolce a spizzicarci nei reciproci piatti.


E non me ne importa nulla di quel che accade nel mondo, di Milano, della sua frenesia, perché la quiete la trovo in un'intimità di una stanza, tra le parole che ci diciamo, tra quelle non dette e quelle che poi ci diremo con il silenzio.



So che in ogni viaggio, c'è sempre il nostro ritorno e siamo io e te, con la sabbia tra  le dita dei piedi,  perché siamo due bambine entrambe, ed ogni anno ci proviamo inutilmente, a trattenere quella nostra ultima estate.

martedì 4 ottobre 2016

Poesia che non leggi

Avrei preferito incontrarti
per caso
ad esempio domani, tra via Torino e Via Orefici, oppure al parco Sempione o nei luoghi che sono sempre nostri e riconoscerti tra i passanti.
Senza trasalire per la sorpresa, come quando ti aspettavo e mi venivi a prendere.
Incrociare il colore denso dei tuoi occhi che assomigliano ai ricci delle castagne, sono ancora così impenetrabili e sfuggenti come li ricordo?
E vorrei soltanto dirti 
con la banalità degli incontri 
non memorabili
Non siamo cambiati vero?
E ridendo perderci di nuovo
senza domande o appuntamenti,

avrei voluto crogiolarmi nell'idea pigra
di una causalità inerte
di una normalità docile
Inoffensiva.

Avremmo potuto rifare tutto questo,
se non avessi adesso gli occhi umidi,
e potessi scegliere davvero 
di incontrarti per caso domani,

sarebbe così bello
che vorrei
raccontartelo.

sabato 17 settembre 2016

L'ultima volta che la vidi

La prima volta che la vidi pensai che mi incuriosiva il modo in cui beveva.

Sembrava che non appoggiasse le labbra al bicchiere e chiudeva gli occhi, come se quello che stesse bevendo fosse stato a lungo agognato o come se avesse appena fatto una corsa estenuante.
Mi incuriosii perché era lo stesso modo in cui beveva mia madre, poco prima che la mattina prima di uscire presto mi accompagnava a scuola, prendeva frettolosamente una spremuta chiudendo gli occhi e subito correva verso la porta aspetto che arrivassi con lo zaino in spalle.
Forse per questo mi sentii subito incondizionatamente legato a quella persona che conoscevo da non appena dieci minuti.

Nadine, non aveva detto il suo nome ma Susanna poco prima di venire all'appuntamento mi aveva detto che avrebbe portato la sua nuova collega e che si chiamava Nadine.

Avevo appuntamento con Susanna, non con Nadine e in altre circostanze la presenza di un'estranea mi avrebbe infastidito, soprattutto perché  mi dava il nervoso pensare che gli altri vedessero che io avessi mantenuto un rapporto di amicizia con la mia ex, perché di solito succede così quando non c'è stato amore, e gli altri vi guardano come se provassero compassione e tenerezza per qualcosa che credevamo di aver provato ma che non c'era mai stato e forse era vero che non ci eravamo mai amati e probabilmente anche Nadine pensava lo stesso, ma la vidi come un'intrusa semplice e deliziosa.

Passeggiammo a lungo nel cimitero Monumentale di Milano, lei sembrava essere affascinata dalle tombe, mi indicava i loculi e diceva: " Lo vedi, ogni loculo è diverso dall'altro, lì si è accumulata della polvere , lì invece no, ci sono delle piccole crepe mentre in quell'affianco nessuna, lì ci sono dei fiori che stanno appassendo quegli altri invece vicino sono appena stati comprati e messi lì, è facile essere affascinati dalla  morte quando non se se n'è ancora subita nessuna."

Le tombe mi davano un senso di solennità e di protezione, ed era molto simile alla sensazione che avevo io guardandola, mentre cercava i posti dove erano sepolte persone celebri.
Ipotizzavo una futura relazione con lei e  non avevo quel senso di paura e di soffocamento che mi assaliva ogni volta, mi sentivo emozionato e invaso da una nuova sensazione che non avevo mai provato prima.

Andammo a casa sua e le pareti erano prive di quadri, o di qualsiasi distrazioni, erano bianche e gli armadi erano quasi vuoti, non c'era nessuna foto appesa al muro né tanto meno quelle tendine odiose colorate nulla che potesse sembrare superfluo, soltanto libri sugli scaffali, antichissimi.
Volevo che ci fossimo solo io e lei in quella stanza, avrei voluto sentirla per ora raccontare degli aneddoti sulla sua infanzia o sulla sua vita per cercare ancora delle similitudini con la mia, per convincermi maggiormente di quanto fosse perfetta per me e di quanto fossimo inevitabilmente destinati.

Per la prima volta avevo conosciuto una persona del sesso opposto adatta a me, e lo avevo capito anche dal luogo in cui viveva, capii anche che le mie abitudini frugali e il mio stile di vita monacale non solo le sarebbero parsi incomprensibili ma si sarebbero adattati perfettamente al suo modo di essere.

Nei giorni e nelle notti a seguire iniziai a sognarla, immaginavo tutte le sensazioni che la sua vicinanza avrebbe creato in me, e ciò mi creava un insolito batticuore.
Non riuscivo a spiegarmi come potevo dormire affianco alla mia fidanzata immaginando lei, fare l'amore con lei ed avere d'avanti l'espressione di Nadine  tra i cuscini e le lenzuola, sembravo sotto una specie di incantesimo.
 Al mattino mi svegliavo e pensavo di preparare il caffè per lei e di giorno il suo viso spigoloso ma così rassicurante  continuava a balenarmi davanti, come una costante di cui sapevo che non avrei potuto fare a meno.
 Poco prima di addormentarmi mi chiedevo cosa stesse facendo e mi faceva sorridere pensarla in quella stanza spoglia, tra i suoi libri antichi a scartabellare antichi manoscritti, mentre si aggiustava gli occhiali incurante della stanchezza e del sonno incombenti.

Riuscì a rubare il suo numero dalla rubrica di Susanna, e allora la telefonai, e sentire la sua voce mi infuse quiete ma anche un grande senso di impotenza.

Durante la breve telefonata riuscì a mantenere un tono leggero, in modo che lei non potesse percepire  l'enorme senso di estasi che provocava in me l'azione del semplice parlarle.
Non riuscì a dirle di vederci, ma le dissi semplicemente che mi aveva fatto piacere conoscerla e speravo mi capisse e  che ricambiasse
Lei sembrava incuriosita ma rimase in quell'atteggiamento di superiorità e freddezza che non faceva altro che muovere  ancora di più il desiderio di incontrarla.
Allora la sera decisi di scriverle una lettera:

"Nadine,  ti scrivo per dirti che un giorno vorrò di nuovo parlarti, oppure mi basterà tacere davanti a te . Sarà per me una gioia  aprire un finestra e vedere dietro i tuoi occhi, anche se breve, quell'incontro domenica scorsa, ha provocato in me la voglia di camminarci dentro, di conoscerne a memoria i pigmenti e il loro variare a seconda delle stagioni, di saperci leggere tutto ciò che vedi e di prevedere quello che penserai.
Ti ringrazio ancora per essere venuta lì quel pomeriggio per non aver scelto di restare a casa a guardare la tua serie tv preferita, di non andare al centro commerciale o al supermercato, ti ringrazio perché sei venuta con Susanna all'appuntamento e per essere stata quella che sei,  per la giusta distanza del tuo calore, perché so che è lo stesso che hai percepito vicino a me. Perché ti chiami Nadine che significa speranza, ed è quella che hai portato inconsapevolmente nella mia vita"

Alle speranze ci si può credere oppure no, si può scegliere ma nessuno può fare niente di fronte all'evidenza.
Le promesse, le illusioni e le speranze sono affari umani e ci rendono imperfetti, quel giorno mi arresi all'evidenza di essermi innamorato e lo ero in un modo incompatibile con le mezze misure, forse lo percepii con improvvisa chiarezza quel pomeriggio mentre la guardavo o mentre camminavo da solo, sulla strada del ritorno e pensai a tutte le volte che l'avevo conosciuta prima di incontrarla finalmente in quel caffè.
Il suo modo di bere mi risultava così familiare, i suoi occhi il modo in cui guardava tutto ciò che la circondava, persino le sue caviglie così sottili che sembravano che ad ogni passo potessero cedere sembravano che mi ricordassero qualcosa di lontano, di già vissuto e dimenticato, era come se l'avessi conosciuta in un altro mondo, in un altro tempo ed è forse la sensazione più comune che provano quelli che si innamorano.

La amo in un modo che non mi lascia alternative, a tutti è successo almeno una volta, ma a me non era ancora accaduto.
Prendo atto di questo amore o la perderò per il resto dei miei giorni, perché non può esistere un compromesso.

La rienventerò con altri volti, con altri nomi per non pensare di aver peso l'unica persona al mondo che mi tenesse vivo persino dentro un cimitero,  per non rendermi conto di aver trovato la cosa che evitavo da più di trent'anni della mia vita: la sensazione che mi importasse per la prima volta di qualcuno che non ero io.
Nel caso in cui lei non mi amasse penserò in eterno alla felicità e quella speranza che mi aveva dato in quell'istante, anche solo standomi nei pressi.





sabato 3 settembre 2016

Una cosa semplice

Alberta voleva essere un maschio, i due fratelli di  quattro e sei anni più grandi, Giovanni e Mattia, le avevano sempre fatto credere che poteva, volendo.

-Basta che ti tagli i capelli corti come noi e fai la lotta. Basta che ti metti sempre la maglietta, felpa e pantaloni.-Cosa che del resto accadeva.
 Alberta non aveva mai avuto niente di suo solo vestiti e scarpe dei fratelli. Dormiva nel letto a castello sotto Giovanni.
Lei di notte guardava il materasso e pensava mille modi per poter spodestare il fratello dal letto superiore.

A scuola c'era questo problema: I suoi compagni di classe fino alla prima elementare l'avevamo individuata come femmina. In terza elementare le era stato assegnato un posto di banco vicino a Raffaella, che aveva l'elastico con le ciliegie a fermare le due code ai lati della testa e copriva con la mano i numeri quando dovevano essere inseriti nel diagramma di Venn.
A ricreazione lei voleva giocare con i maschi ma loro non la accettavano nei giochi perché era femmina. Le femmine neppure, sembrava un maschio, dopo meno di due mesi si era chiusa nella sala delle caldaie a casa.

"Quel giorno ero disperata, non volevo tornare in classe o tornare a scuola mai più mi ricordo l'odore della stanza delle caldaie, come di polvere umido e gesso, c'era buio e una porta di ferro, con la chiave dentro. Loro fuori che mi chiamavano e io stavo zitta . é bello quando ti chiamano e non rispondi, senti nelle voci l'ansia che sale, i passi che vanno e vengono fitti fitti, senti che si preoccupano e che se stai zitta chissà cosa pensano, pensi che loro pensino che sei morta e sei contenta; Voglio sparire, non essere niente per un po', questo pensavo."

-Questo fatto di Alberta che si fa chiamare Alberto, non è una scemenza, non fa ridere, lei a a tutti quelli che la conoscono si presenta come un maschio.

"Mi ricordo che mi madre mi diceva guarda che è bello anche essere femmina, cosa c'è che non ti piace, spiegami. Ma io non riuscivo. I maschi mi piacevano, mi facevano sentire comoda, le femmine mi facevano paura, con i maschi non si litigava mai sul serio, si giocava e poi passava tutto, con le femmine facevano finta, ma in un altro modo, più complicato che io non capivo.
Avrò avuto quindici sedici anni, e poi è successo che un giorno mi sono guardata allo specchio prima di andare a scuola, ed ho detto ok dai, sei una ragazza, fai la ragazza e poi trovarmi un ragazzo, non dovrà essere così difficile, con i maschi è più facile, cioè devi stare attenta ma in modo diverso, più semplice, con i maschi alla fine è tutto più facile, li conosco meglio, posso capirli meglio, posso farcela.

-Alberta dice che è innamorata, ha un ragazzo e vuole andare in vacanza con lui è un amico di Mattia, ha 20 anni, è carino, mi pare. Va in barca, ma se vuole tornare e non può come fa?
-Quante storie, si prende un aereo e ritorna.

"Al ritorno dalla Grecia, a settembre, ci siamo lasciati. Pensavo allora lo vedi che ho ragione, la vita da ragazza non fa per me. Sono entrata in depressione e non volevo uscire più di casa, Poi ho pensato che mi stessi perdendo troppe cose, ed ho conosciuto Daniele.

"Daniele del maneggio mi ha insegnato ad andare a cavallo e poi siamo diventati amici, più che amici, amici che dormono insieme e nessuno dei due si era innamorato, altrimenti "diventava un rapporto squilibrato e finisce che uno dei due soffre".

Io non ho mai capito in realtà le cose da femmina perché non piango mai, non faccio silenzi lunghi, non inclino la testa da un lato quando parlo e non rido, rovesciandola all'indietro. Parlo a voce alta, dico sempre la mia, faccio un casino.
Ma mi innamoro anche io, il pensiero di quel ragazzo divenne come una carta di parati, anche se non ci volevo pensare stava lì, non ho mai capito se fosse amore, oppure se volessi autoconvincermi che lo fosse.
Quando con Daniele è finita, è stato quando gli ho detto ad alta voce spintonandolo che lo amavo, lui si è allontanato da me e io non ho sofferto, ho soltanto appreso, che forse preferiva le ragazze che facessero le manfrine o che si facessero rincorrere, io invece stavo ferma, al massimo facevo un giro a cavallo ma poi ritornavo lì da dove ero partita.

Adesso con i ragazzi ci gioco come quando ero piccola e non mi prendono sul serio. Do spintoni e dico parolacce, battute, faccio le partite di calcio.
 Non sono l'ideale, non ci provano mai e devo provarci io, ma quelle cose tipo lasciar cadere un oggetto per chinarsi insieme e poi baciarli io non le so fare. Le guardo le mie amiche, quando staccano i telefono e si fanno inseguire e io dico pazzesco: Sono veramente brave ma dove lo hanno imparato?

Poi ho incontrato Samuele, al bar vicino casa mentre c'era la partita Juve Napoli, lui purtroppo tifava Juve. Ma siamo solo amici per lui.

 è proprio unico, mi ha fatto riflettere su certe cose tipo : quando finisce una cena dove siamo in dieci manco ti accorgi che  ti metti a sparecchiare e fare i piatti? Ti rendi conto che in discoteca non ti fanno pagare, vedi che non sono coerenti? Nessuno te lo chiede e tu lo fai spontaneamente. perché accetti di andare in discoteca  se non ti fanno pagare? Non vedi che l'informazione occulta dietro è il fatto che le donne non pagano perché le donne non accettano di pagare, non ti dà fastidio?
Io non glielo dico che sono innamorata di lui, questa volta non ci sto, altrimenti se ne va via.

Mi piace il modo in cui vede il mondo:

-Ma tu lo sai che un giorno potrebbero non esserci più le tigri? Nel senso che si estingueranno in un prossimo futuro.

-Mi dispiacerebbe per i miei figli, ma forse a loro non importerebbe molto. Mi mancheranno le tigri, un casino, io se potessi ci parlerei con le tigri, ci dormirei distesa accanto, per sentire come respirano.

Una giornata perfetta è la domenica con Samuele che comincia quando bussa al citofono e io sono ancora assonnata, mi alzo per aprirgli la porta di casa e mi rifiondo a letto, entra e sa già dove tutto è in cucina, mi porta il caffè, e mi dice che sono bella senza trucco, con la maglia dei cure come pigiama.

 A pranzo lui scrive a computer ed io gli preparo cose buone, così ho imparato a cucinare. Legge il New Yorker e ride alle vignette che nessuno mai capisce, ride tantissimo e a me piace vederlo ridere.

Nel pomeriggio ce ne andiamo sul divano a vedere un film, quindi a dormire, io guardo i respiri ritmici, come farei con le tigri, poi nel resto della giornata, ridiamo, piangiamo, facciamo l'amore.
Possiamo anche dormire con i piedi che si toccano e se sono davvero stanca lui non mi dice niente, mi accarezza sulla testa, mi dà un bacio sulla fronte e torna a casa la sera tardi.

é meraviglioso anche così, un abbraccio, un bacio niente sesso, quando sei molto stanca è perfetto.
Alla fine avevo ragione, con i maschi è più semplice.

Anche l'amore alla fine è semplice, basta non capire ciò che senti, come quando viene Samuele la domenica a casa, capisci che quel sentimento è momentaneo, non sarà sempre così e che passerà, che si estinguerà come le tigri.

giovedì 4 agosto 2016

Passato

Primavera
Quei pomeriggi in cui dopo l'università ti fermavi da me, eri stanco e volevi bere litri  di tamarindo, te ne versavo poco a poco soltanto per vedere la faccia soddisfatta che facevi ad ogni sorso.

Dopo poco buttavi il tuo zaino sul divano e ti levavi la maglietta, poi facevi un cenno strano come per dire raccontami della tua giornata.

 L'abitudine dei gesti è davvero una cosa strana da spiegare, tutto viene in modo molto naturale senza che sia una sorpresa per l'altro, e prende forma giorno dopo giorno.
 Eppure tu non smettevi mai di sorprendermi, forse perché non sei mai stato un'abitudine.


Io volevo farti il caffè e succedeva questo: Passato un minuto e mezzo mi spostavi i capelli e mi baciavi il collo, sai di fiori, mi dicevi. 
Il caffè non lo bevevamo mai di pomeriggio.

 Era anche bello quando decidevamo di andare al parco in quelle giornate d'aprile in cui non fa ancora caldo, fare due passi imbarazzati, a guardarci attorno perché non sapevamo se darci la mano o meno, ma dirti di guardare a destra prima di attraversare e dartela all'incrocio, perché eri distratto.

"Mia mamma me la dava sempre, non riesco ad attraversare senza che nessuno mi dia la mano, non voglio perdere queste abitudini".
Ma tu la lasciavi subito appena arrivavi al marciapiede , come se nulla di ciò che avessi detto ti avesse minimamente toccato.


Estate 

Era  bello restare sdraiati uno accanto all'altro, sul letto, con il ventilatore che girava sul soffitto, e io tenevo sempre lo sguardo fisso, per cercare di addormentarmi, per non pensare che poi mi avresti detto che era tardi e dovevi andare, se mi addormentavo non me lo dicevi ma non ti trovavo più e potevo fare finta che fosse stato un sogno.
Tu prendevi il tuo telefono e senza che me lo chiedessi mi mettevi una cuffia nell'orecchio destro, che puntualmente cadeva sempre ed io dovevo risistemarla.
 Ascoltare la musica con te mi piaceva tantissimo,  perché ti inumidivi sempre le labbra e rimanevi concentrato quasi come se la stessi osservando quella musica, e scuotevi piano piano la testa, sembravi reale e volevo concentrarmi sui tuoi gesti per poterli poi pensare distrattamente durante le giornate a venire.
Ogni tanto ti emozionavi ma non volevi darlo a vedere così distoglievi lo sguardo dal nulla  e  iniziavamo a guardarci negli occhi e non fare nient'altro.

Giorno dopo giorno, compilation dopo compilation, imparai tutte le canzoni a memoria ed iniziai a cantartele, a quel punto vedevo che non ti concentravi più sulla musica ma sulla mia voce, e dal soffitto iniziasti invece a guardare me e ne fui felicissima perché ogni tuo gesto nei miei confronti mi rendeva felice.

Autunno

Era bello sfiorarti il braccio e farti venire la pelle d'oca, mi perdevo nei dettagli dei tuoi tatuaggi,  e vedevo la pelle incresparsi attraverso quei colori, la pelle d'oca li faceva risaltare tutti.
Il nero, il giallo, il rosso, l'azzurro il blu. Dal Caldo al Freddo, sembravamo io e te, tu freddo un blu ed io un rosso acceso acceso.
Mi sforzavo ogni volta di ricordare ogni dettaglio, ogni lineetta, ogni punto, ma non ci riuscì mai perché erano troppi, e ci vedevamo poco per poterli ricordare a memoria.
Cercavi di insegnarmi la musica, io volevo insegnarti ad accarezzarmi, sembrava che tu non lo avessi mai fatto, allora giorno dopo giorno provavo su di te e sulla tua pelle il modo di farti percepire come tu dovessi accarezzarmi, alla fine in autunno lo avevi imparato, facevi delle carezze più complete, più intense e avvolgenti delle mie, e anche questo mi rese felice.

La sera ogni tanto sentivamo le cose nella casa respirare tanto dal silenzio che c'era, il silenzio d'altronde fu parte integrante del nostro rapporto, non avevamo mai nulla da dirci se non con il corpo e con la musica, ma per questo il nostro rapporto divenne esclusivo, le parole non servivano.

Inverno

 Si faceva sempre tardi, il sole andava via alle quattro e anche tu come lui dovevi andare. Io inventavo scuse per farti rimanere, sentivo che le mie difese si stavano abbassando e che quello che provavo per te andava oltre i parametri che ogni ragazza ama assegnare per comodità.
Venne il freddo, e tu eri freddo sempre di più, le mie parole non riuscivano a scaldarti, perché tu non volevi sentire il mio tepore.
Il tuo blu prevaleva sempre sul mio rosso, e prima o poi avresti seguito la tua musica, l'arte, altre ragazze e le tue passioni quando la mia passione invece eri diventato tu.

Sentivo di essermi legata a te e che per te non era lo stesso, forse ti bastavano i legami che già avevi non te ne servivano altri, oppure non avevi semplicemente più voglia di restare, o forse mi avevi già detto tutto quello che volevi dirmi sia con la musica che con il corpo.

Solstizio

Non c'era nessuna terraferma tra noi, era come se non esistessimo perché nessuno di fatto ci aveva mai visto insieme, non c'erano musi sporchi di caffè e panna ad un bar da pulire, né corpi intrecciati alle panchine al parco di notte, né pop corn comprati al cinema e finiti prima che iniziasse il film durante la pubblicità, né abbracci fuori ai portoni o di lunghi addii davanti ai treni in partenze nelle stazioni.
Di questo nostro passato non abbiamo nulla da rimpiangere, non sapeva di niente questa storia se non di noi.

Non c'era nessun paradiso in quella stanza, soprattutto quando chiudevi la porta e con quella porta scompariva tutto di te,  e rimanevano i miei pensieri e tutto quello che avevo nella testa, nel mio quaderno, nella playlist del mio computer, nei miei racconti.

Equinozio


Eppure io e te insieme esistevamo nel modo più assoluto.

Allora ogni tanto, per rivivere  quei momenti, ascolto in loop il cielo in una stanza di Gino Paoli, per ricordarmi che per una stagione ci sei stato, sei passato, passerai ed è in ciò che sta la tua bellezza.

domenica 17 luglio 2016

Nei temi a scuola uscivo sempre fuori tema

La maestra mi chiese  di scrivere un tema sulla primavera, i miei compagni si chinarono tutti, per cercare di farsi venire un'idea, perché parlare di qualcosa di astratto è sempre difficile.
Io guardai fuori dalla finestra, era lì la primavera e allora pensai:

"Che senso aveva scrivere della primavera se questa tanto cara primavera stava fuori dalla finestra?"

Ma iniziai lo stesso, perché da bambina ero solita obbedire a scuola.
Scrissi "La primavera" e questa adesso prendeva forma, era una parola scritta sul mio foglio e sembrava sempre meno astratta.

Piano piano pensai a tutto ciò che mi ricordava la primavera: Pensai all'azzurro del cielo, alle fragole, ai  campi verdi, alla gioia che provavo nel sentire il profumo delle rose del mio terrazzo.
Poi cercai di legarle queste parole, e consegnai il tema alla maestra,  ed ero sempre la prima a consegnare, proprio per l'impazienza di vedere l'espressione di chi leggeva le cose che scrivevo.

Uscita da scuola, passavo sempre per il parco per tornare a casa era il mio ultimo anno di elementari e stavo crescendo, la cosa mi metteva molta ansia perché mia madre mi aveva detto che il mio corpo sarebbe cambiato, come la natura faceva cambiare tutte anche io sarei cambiata con l'avanzare del tempo.

Mi sedetti sul muretto del parco ed una rondine si posò sulla mia spalla, rimase lì per un lungo momento, mi batteva il cuore, ero sopraffatta dall'emozione, non riuscì neanche a girarmi che la rondine volò via dalla mia spalla destra.
Per me a 10 anni era una cosa straordinaria da provare.
Qualche giorno dopo la maestra mi riconsegnò il compito, mi disse che ero uscita fuori Tema, come sempre ma che quello che avevo scritto era bellissimo.

Andai a casa per leggere ai miei fratelli e mia madre cosa avessi scritto, ma mi sembrava di leggere le parole di un'altra. "Giulia, perché hai smesso di leggere?", mi chiese mia madre.

"Perché non mi piace più".

Mia madre, capì che stavo cambiando perché pensava che stessi sviluppando il mio senso di autocritica e quindi era contenta.
In realtà io, ero solo triste, di questo mio cambiamento che mi stava sconvolgendo.
Si, ero stata la prima a consegnare, ero uscita fuori tema e a scrivere cose bellissime, ma nulla di quello che avevo detto sulla primavera era mio, questo pensai.

Ogni frase, ogni osservazione non aveva niente a che fare con quello che avevo sentito, invece il batticuore che avevo provato dopo che la rondine si era posata sulla mia spalla, quello era verissimo.
Ciò che avevo messo nel tema lo avevo messo, soltanto immaginando le cose che gli altri si aspettavano che io mettessi.

Avevo scritto che la primavera ci avrebbe reso tutti felici.
Ma io non lo ero, nessuno mi sembrava in realtà felice per la primavera, avevo parlato di prati e di fiori, ma non li desideravo vedere, anzi li avevo sentiti dalle poesie, dalle storie imparate a memoria.

Succedeva questo con me, che le parole tiravano appresso i sentimenti che non condividevo affatto.
Vedevo  che questo piaceva agli altri, e allora continuai così decisi di scrivere sempre temi, non per dire quello che pensavo ma per dire quello che gli altri si aspettavano che dicessi, e i temi diventarono poi racconti .

Una volta però scrissi esattamente il contrario di quello che richiedeva la traccia, e mi dissero che non bisognava disobbedire alle parole scrivendo esattamente il contrario di quello che le parole mi suggerivano.
Se la maestra deve richiamare la parola BUONA, non è che scrivendo l'opposto ovvero, CATTIVA che si risolve la situazione, e cercai poi di applicarlo alla vita reale, ma anche lì non era così facile come mi avevano detto.

Quindi non capì se dovevo sapere chi fossi per cercare le parole vere, o cercando le parole vere in modo di poter poi  scoprire chi sarei stata.

Che cosa c'è dietro le parole ? c'è qualcosa o niente? e se avessi scritto che avevo avuto un batticuore dopo che la rondine si era posata su di me, come avrei potuto comunicarlo agli altri per farglielo percepire quel batticuore?

Allora cercai nella scrittura, la forza per comunicare i sentimenti, le mie paure, le emozioni che dalle parole non sono mai riuscita ad esprimere, né forse potrei mai fare,  e così ho continuato per tanti anni e continuo tutt'ora, la scrittura sarebbe poi stata come un  luogo in cui avrei incontrato gli altri.

Anche a te, vorrei dirti tante cose ogni volta che ti incontro, ma non ci diciamo mai niente, tu mi sembri anche imbarazzato quando succede, oppure fai finta di non vedermi quando puoi.

 Eppure sono qui a ricordarmi di circostanze passate, e per farti capire che se non ti parlo non è perché non ho nulla da dirti, ma è che dovrei girare con dei post-it perennemente e attaccarteli addosso, e uno per uno farteli poi togliere a casa, quando non sono davanti a te.

Dovrei iniziare a scriverti lettere ma non so il tuo indirizzo preciso, e non  potrei iniziare a metterti lettere nella cassetta della posta, altrimenti i vicini si chiederebbero troppe cose, la portinaia le spierebbe  e tu ti sentiresti a disagio ogni volta che scendi le scale nel vedere quella pila di lettere, e io questo non lo vorrei mai.

Non mi ricordo poi come andò a finire la storia del mio cambiamento, successe e basta, ricordo però che una volta, mi chiesero di parlare di Napoleone in un tema, e delle sue imprese.
E quella volta consegnai il foglio in bianco, allora la maestra chiamò mia mamma per chiedere se andasse tutto bene.
 Mia madre si limitò a dire che in quel periodo le sembravo un po' apatica, ma che sarebbe passato.


Ma né la maestra né mia madre potevano immaginare che su quel foglio bianco, io stavo cercando faticosamente me stessa.