lunedì 9 settembre 2013

Suicidio alla Crapolla

Il primo mio capodanno a maniche corte.

Questo era quello che pensavo mentre fumavo la mia sigaretta vicino alla finestra, cercavo di appannare il vetro con il mio respiro, ma questo non si appannava, allora sbuffavo.


Un anno intero ad aspettare il freddo, e questo non arriva.

Il 31 dicembre  Io e il mio migliore amico Valerio volevamo morire. Ma doveva essere una morte dignitosa,leggendaria, in modo che qualcuno lo segnalasse sul corriere della sera sennò tanto valeva rimanere vivi. 
-Come moriamo?
-Un modo lo troveremo
-Deve essere suicidio in due
-Devono trovarci insieme
-Devono piangere tutti. Fare un funerale cittadino!
-Ma ci mettono nelle bare bianche?
-Col cazzo, il nero fa più 
tendenza.

-Ma io sono alto quasi due metri, la bara la voglio bianca, vistosa.
-Lasceremo qualcosa di scritto, lo scrivi tu però che da grande vuoi fare lettere.


Da grande vuoi fare.. quanto mi manca quell'espressione.

A Capodanno, perciò, cenavamo io e lui da soli nella mia cucina, mangiavamo un cinghiale e delle lenticchie -A che servono le lenticchie se poi moriamo?
-Metti che rimaniamo

vivi per sbaglio, almeno non saremo vivi e poveri. Due tragedie in una volta sarebbe pessimo.
Guardammo Carlo Conti con il suo show dell'ultimo dell'anno e ci instillò subito il male di vivere.
-Però Valerio scusa, non ci siamo ancora innamorati... Perché non moriamo dopo esserci innamorati? Almeno una volta
-E se poi ci piace e non vogliamo più morire?

Quest'ultima affermazione mi lasciò l'amaro in bocca e non seppi dargli subito una risposta.
-Già. No no, hai ragione, moriamo stasera.

A mezzanotte era già tutto pronto. Io, lui, il suo liberty turchese, ed il caldo anomalo.
-Dove sono più cattivi?
- A Torre Annunziata, buttano giù anche le lavatrici, almeno l'ho sentito dire.
-Ottimo

E allora girammo per tutta la città, allo scoccare della mezzanotte, in cerca di una  bella lavatrice, troppo vecchia per funzionare ancora che ci schiacciasse oppure  di un petardo, bombe di Maradona che ci facessero saltare in aria, un proiettile 

vagante, un missile radioattivo.
E abbiamo riso così tanto mentre cercavamo di morire, che ci siamo subito dimenticati di farlo.

mercoledì 17 luglio 2013

Solo Andata da Milano Centrale

Sono le 2 di notte ed ho appena messo l'ultima maglietta nella valigia.

Non credevo fosse l'ultima, pensavo di averne lasciate alcune nel secondo armadio, di quelle a maniche lunghe che non amo indossare ma che mia madre mi dice sempre di mettere nelle mezze stagioni.
A Milano stasera non fa caldo, ci sono nuvole sparse, e si sente odore di pioggia, e domani ho il treno di sola andata per casa mia, perché qui non ci tornerò più.

Non ho voglia di addormentarmi, né di stare qui ad aspettare che faccia giorno allora decido di uscire.

Mentre cammino mi soffermo sui negozi chiusi, sulle saracinesche e mi piace vedere le varie luci nelle case degli altri, e faccio un bilancio di quanti negozi si siano aperti o chiusi in questi ultimi quattro anni.

Decido anche di accendermi una sigaretta, mentre ci sono ancora delle persone che urlano, ridono, sembrano apparentemente felici.
Io sto per lasciare questa città definitivamente, questo luogo, Milano, che tutti dicono di odiare, non sarà mai soltanto un luogo.
 Questo luogo sono anche un po' io.

In qualche modo,senza saperlo mentre sto passeggiando per queste strade mi soffermo su ogni piccolo particolare, ogni camminata mi ricorda una giornata che vi ho trascorso, una persona con cui ho fatto quella strada, ogni luogo mi ricorda tutto il tempo che ho pensato a lei e che non l'ho cercata o tutte le volte che ci siamo incontrati e ci siamo evitati, o l'ultima volta quella definitiva in cui abbiamo giurato di non perderci più e di incominciare qualcos'altro.
Questa strada mi ricorda le passeggiate spensierate con gli amici, o le solitarie mattutine in cui camminavo nervosamente quando dovevo fare gli esami, quelle in cui tornavo barcollando ubriaco, quelle sotto la pioggia o con la neve.

Il luogo ce lo portiamo dentro, e senza saperlo in un giorno, per caso, ci arriviamo.
Quanta fatica, ogni volta con tante valigie, con la stanchezza e il sacrificio, sono arrivato qui, sbattuto in una stazione in attesa del tram, di un taxi.
Così dipende da come leggiamo Milano, dalla nostra disponibilità ad accoglierla dentro gli occhi e dentro l'animo, se siamo allegri, malinconici, euforici o disforici, giovani o vecchi, se ci sentiamo bene o male, lei cambia.

Queste cose, le ho imparate vivendola, quando venni qui il primo anno, ancora non sapevo nulla, ero soltanto intimorito e stordito allo stesso tempo dalla sua eccessiva vitalità e frenesia, dall'università,dalle feste dalle persone nuove, non sapendo se poi mi sarei stancato di lei oppure avrei continuato ad amarla, un po' come quando si intraprende una relazione con un bella donna, un po' stupida ma davvero attraente.

Più tardi però, mi resi conto che Milano, come ogni luogo è un po' come una  radiografia di noi stessi.
A cosa è servito allora scattare fotografie? Forse volevo portare via qualcosa.
Le immagini di Milano erano soltanto un'apparenza, la pelle, per descrivere ciò che mi ha provocato questo posto bisogna soltanto guardarlo e viverlo e non fotografarlo, un po' come succede per i sogni, se dovessi raccontarvi un sogno, adesso, un bel sogno, quasi con meraviglia mi accorgerei che quella storia che a me sembra tanto bella in realtà è una storia molto banale ed insignificante.

Cosa è stata per me Milano? Un sogno.
L'importanza di quel sogno non era di certo ciò che  succedeva, ma il modo in cui io stavo vivendo quel qualcosa.
Il sogno era la mia stessa emozione, se io ve lo raccontassi in questa notte di luglio, non saprei descriverlo ma riuscirei a dire in minima parte le emozioni che mi ha suscitato.

Quando sei consapevole di lasciare un posto definitivamente, non sei mai completamente felice, e questo è da ammettere, ma il vero motivo in cui giro attorno a questa città alle due di notte e passa è che non vorrei mai dirle addio definitivamente.

Infatti adesso ci facciamo una promessa, che prima o poi io qui ci ritornerò.
Perché dovrei tornarci?
Non lo so.
Chiunque non sia mai tornato a Milano, non può capire cosa vuol dire tornare a Milano.

Tutti sono tristi quando ci tornano, e allora perché lo fanno?

In realtà, un milione e mezzo di persone tornano a Milano e neppure loro sanno spiegare il vero motivo per cui tornano a Milano.

domenica 5 maggio 2013

L'ultima goleador a Liquirizia

Erano le striature, quelle contavo, prima di lasciare la camera dei genitori di Francesca, prima che lei si svegliasse e potesse dirmi di restare un altro po', di bere qualcosa insieme.
A volte erano sei, altre sette, dipendeva dall'orario.
Era bello sfiorare la pelle e contarle le costole, ogni tanto lei storceva la bocca, allora mi fermavo perché pensavo che si stesse per svegliare, ad ogni suo arricciamento del naso corrispondeva un mio sussulto, e alla fine non si svegliava mai.

Io Francesca ci siamo conosciuti a scuola, lei era due banchi più avanti del mio mio, ciò che ci aveva accomunato era la passione per la Storia, sfogliavamo entrambi libri e libri riguardanti i più variegati argomenti, lei era appassionata della storia medievale e di pomeriggio studiavamo insieme, almeno avevamo deciso così quel mese di aprile.
Per quattro anni ci eravamo completamente ignorati, ci scambiavamo poche parole.
Solo un pomeriggio trovò il coraggio di invitarmi a casa, in quell'ascensore del suo condominio mi guardavo allo specchio, cercavo di avere un aspetto decente.
L'ascensore si fermò al quarto piano, lei abitava al quinto, feci una rampa di scale e la trovai lì che mi aspettava alla porta.
I suoi genitori erano sempre chiusi da qualche altra parte, il padre nello studio, sua madre nel salotto a provare qualche sonata al pianoforte.
Il ricordo di quei pomeriggi intervallati dalle note del pianoforte, dai monologhi di Francesca e dalle caramelle goleador a liquirizia, sono rimasti per anni e anni.

Non le lasciavo mai l'ultima, e lei puntualmente si arrabbiava afferrandomi il braccio, forse era un gesto per stabilire un contatto fisico.
Ogni tanto ci perdevamo in qualche sguardo, quel momento in cui due persone si guardano e l'uno cerca che l'altro faccia qualcosa.
Non pensavo che poi quella casa sarebbe diventato il luogo dei nostri incontri nei pomeriggi estivi.
I genitori partirono il 27 giugno, per un viaggio a Cuba.
Rimanemmo soli quel pomeriggio e facemmo l'amore su quel letto ampio e spazioso e così fu per molti altri giorni di quelle due settimane.
 Tremavamo a ogni minimo rumore e a ogni chiamata dell'ascensore, atterriti dall'incubo che si potesse fermare al piano di sotto e che poi dei passi pesanti salissero le poche scale e una chiave girasse nella toppa, atterriti da un ritorno improvviso.
Avevamo paura ogni volta, e quindi facevamo l'amore in silenzio, fermandoci in apnea ogni volta che l'ascensore si muoveva, guardandoci fissi negli occhi per capire quando il pericolo sarebbe cessato.
E ricominciavamo quando sentivamo qualche porta sbattere in qualche piano più basso.

A dirla tutta, Francesca non mi piaceva veramente, e non speravo che quel rapporto molto strano sfociasse in qualcosa di più importante.

In realtà a piacermi era Melania,la sua compagna di banco.
 Melania aveva la pelle scura e gli occhi  chiari, quando le ragazze a diciassette anni ti sembrano delle ventenni irraggiungibili, bene, Melania sembrava una trentenne.
Quando entrava in aula con le sue gonne lunghe, tutti rimanevano senza parole, e si guardavano stupiti chiedendosi cosa ci facesse quella donna in mezzo a dei ragazzini.
Interveniva quando qualcuno veniva trattato ingiustamente, oppure quando le sembrava che qualche prova scritta non fosse stata valutata giustamente, e i ragazzi in aula si meravigliavano che sapesse tutti i nostri nomi.
Ogni tanto la osservavo quando faceva educazione fisica, e ne elogiavo i lineamenti e il corpo armonioso insieme ai miei compagni.
Mi alzavo nella notte, inquieto e immaginavo che nel mio letto ci fosse lei, e che fosse disponibile per soddisfare il mio piacere
Ma Melania, rimaneva sempre una mia fantasia, mentre Francesca non mi piaceva molto.
Si aveva dei capelli lunghi e biondi, molto belli e soprattutto nei giorni in cui li lavava erano morbidi e vaporosi, inoltre Francesca non aveva un grande fascino, perché ormai conoscevo tutto di lei, e sapevo benissimo come si muoveva, sapevo i suoi pensieri e delle sue esperienze con i ragazzi universitari.

La guardavo mentre ripeteva la lezione o dopo i loro rapporti e pensavo che aveva delle brutte orecchie, allora pensavo a cosa si potesse fare per quelle orecchie, soprattutto quando alzava i capelli.
Poi quando si copriva le orecchie, continuava ad avere un viso bello, sempre per i ragazzi universitari però, perché per me era accettabile.
Speravo che non si alzasse mai i capelli, e ogni tanto faceva qualche domanda su Melania, dato che era la sua compagna di banco.
Anche Francesca della vita di Melania sapeva poco e niente, e aumentava ancora di più il fascino di quest'ultima.

Quei pomeriggi di studio continuarono anche a Settembre e Ottobre.
Come di consueto chiudevamo la porta a chiave, e ci baciavamo silenziosamente.
Ogni tanto lo sguardo si soffermava sui poster di De André  o sulle frasi di Prevert, ma sopratutto buona parte del tempo, osservavo la sua libreria e sentivo il buono odore che emanava.
Guardavo le cromature dei libri e il modo in cui erano disposti e ordinati, e mi piaceva molto aprirli e consultarli.
Francesca, scartava e scartava e ogni settimana mi sceglieva un libro da leggere, così lo feci anche io, e iniziò questa nuova fase del loro rapporto, basato sullo scambio di libri.
Ci divertivano a sottolineare a leggere e vedere man mano le pagine gonfiarsi sotto le dita.
All'inizio le pagine di sinistra sono antipatiche da sottolineare poi a meno a mano che si va avanti c'è un momento in cui le pagine di sinistra iniziano a diventare simpatiche e la preferenza passa a quest'ultime.
Era un pensiero che condividevamo
Ogni volta che sentivamo un titolo, con una trama interessante ce lo segnavamo:
Il mare colore del vino, L'isola di Arturo, Che tu sia per me il coltello, Il lupo della steppa, Le parole tra noi leggere.
Compravamo e leggevamo libri uno dopo l'altro, oltre alle soddisfazioni della carne, quelle intellettuali divennero addirittura quasi più interessanti.

Un giorno in classe mi accorsi che Melania era sparita e non riuscivo più a mettere a fuoco il suo viso, quindi mi masturbavo di meno.
Finalmente mi accorsi invece di amare Francesca, anche si trattava di un desiderio triangolare, magari prima desideravo Melania eppure ero riuscito a giungere a Francesca, la sua compagnia di banco e così mi ero accontentato di lei quando volevo tutt'altro, e adesso non mi ero neanche accorto che fosse sparita.

Alfredo, così facendo scivolava verso un amore che avrebbe riempito molti anni a venire, e non sapeva che tutto era stato costruito giorno per giorno, libro per libro, spuntino pomeridiano dopo spuntino, confidenza dopo confidenza.
Tornava a casa la sera e si infilava nel letto, apriva il libro ed iniziava a leggere e non capiva cosa stesse succedendo alla sua vita, ma sentiva che qualunque cosa fosse stato, non poteva fargli male, ed era molto bello e appagante.
Il senso della sua vita continuava a sfuggire, come erano sfuggite tutte le attenzioni di Francesca in quei pomeriggi e tutto l'amore che lei aveva raccolto e le gelosie che aveva cercato di far scaturire, raccontando di quei ragazzi universitari.

Si addormentava con il libro in mano fin quando non gli scivolava sulla pancia e il mattino seguente se lo ritrovava addosso senza sentirne il peso, proprio come la storia che stava vivendo.

E così quell'amore continuava a crescere, giorno per giorno.
Fin quando un pomeriggio, Arturo decise di lasciarle l'ultima goleador sulla scrivania.
Quello fu il momento in cui si giunse al punto di saturazione e di felicità completa.



martedì 26 marzo 2013

Melanconia



Avevo 10 anni ero in quinta elementare,lui era in seconda media.

I ragazzi della scuola media, saltavano scuola per la prima volta e allora passavano le loro mattinate con gli zaini sulle spalle alla sala giochi,oppure in piazza ai giardinetti vicino la fontana, a volte li trovavi vicino gli scavi a giocare a carte o compravano il super santos e passavano delle ore sul prato.
Si leggeva sempre una nota di spensieratezza tra le loro parole, tra i loro sguardi, e non potevi fare a meno di osservarli.

 Io invece a dieci anni,scrivevo ogni tanto delle filastrocche, e seppi per la prima volta che dovevo andare a scuola da sola. Questa notizia mi colmò di sconforto,ma non dissi parola e nascosi la mia desolazione in un sorriso largo e falso.

a 10 anni non mi vantavo di niente, non ero studiosa,non facevo i servizi a casa ,non vedevo mamma cucinare,guardavo la televisione e i cartoni del pomeriggio, il mio preferito era lady oscar,oppure mangiavo un pacco intero di merendine,nascondendo le carte,mia mamma poi guardando la scatola si accorgeva immediatamente che le avevo finite,le mie preferite erano le kinder colazione più.

Io andavo a scuola alla rosa cecchi, e non ero fidanzata,ero abbastanza grassottella ma amavo fare educazione fisica con la mia maestra strabica,forse era per quello che ero così entusiasmata della scuola ed attendevo l'ora di educazione fisica sopportando con insofferenza quelle di matematica.

Ero persuasa che mio padre avrebbe presto scoperto,che a scuola non mi accompagnava nessuno e si sarebbe abbattuto su mia madre come l'origine di una bufera.
Mi seccava non poco essere la causa delle liti dei miei genitori.

Pensai alla mia vita passata di quando non andavo a scuola,passavo tutto il giorno in giardino correndo con il mio cane,oppure immaginando di essere un personaggio mitologico (dato che mi avevano regalato il libro dei miti greci) il mio preferito era Arianna e il Minotauro, e pensavo che magari un minotauro mi sarebbe piaciuto come animale domestico e non ne avrei avuto paura.

Mi alzavo tardi e facevo bagni lunghissimi fino a che non mi venivano le mani da morta.

Quando andai a scuola di colpo la mia vita cambiò e si era riempita poco a poco di cose che odiavo.

Odiavo tutto e così scrivevo filastrocche tristi, feci amicizia nel tratto con un bambino grande (così li chiamavo ) di nome Flavio ,il quale aveva curiosamente i capelli lunghi. Aveva dodici anni,e io mi invaghì di lui,ovviamente lui non se ne accorse ma il mio amore nei suoi confronti era appassionato ed autoritario,lui invece era distaccato ed indifferente ma non rinunciava a giocare con me. Quando era l'ora di tornare a casa però non piangeva né protestava io invece mi disperavo e sbattevo i piedi a terra.
 Un giorno gli dissi che doveva,se io morivo o suicidarsi,oppure farsi frate. Mi disse che non avrebbe fatto né l'una né l'altra cosa.

Allora gli scrissi una filastrocca triste:

e tu, e tu
non sorridere più
Non vedi che amore finisce
Come l'estate e le rose
Come tutte le cose?

Non mi scrisse nessuna poesia,a lui piaceva suonare la chitarra e così mi suonò una canzone dei metallica.

Quando ci incontravamo per strada la domenica mattina o il sabato pomeriggio lui faceva finta di non conoscermi e anche io facevo lo stesso,il perchè non lo so.

I pomeriggi infrasettimanali ci incontravamo e parlavamo della scuola,delle uscite anche se sapevamo che poi non ci saremmo salutati e ci saremmo comportati come due estranei.
Io però mi vantavo di essere sua amica.

Avendo scoperto la tristezza,scrivevo filastrocche tristi ero brava a sciverne,mormorarle,le mie e quelle altrui.
Le scrivevo in bella grafia su un quaderno come se fosse l'unico modo possibile non di liberarmi della mia malinconia ma di adoperarla.

Quando volevo immaginarmi un amore vedevo Flavio ma in una figura alta in veri abiti maschili,con cravatta e giacca e un viso pallido,ironico bello e perfetto,con i capelli lunghi ovviamente.

Trovavo le bambine molto irritanti e spesso giocavo a calcetto con i maschi,al san paolo al santissimo salvatore,nonstante i miei passatempi la malinconia mi sembrava uno stato d'animo non miserevole né vile ma volevo liberarmene.

Credevo che Flavio non mi volesse perchè mangiavo le merendine e perchè scrivevo cose tristi, la cosa che trovavo disperante era che non potevo diventare un'altra persona: Ero io ed ero odiosa e non avevo alcun modo di separarmi da quell'essere odioso,ero legata a quell'essere triste e malinconico fino alla morte.

Un giorno mi trovai un biglietto,era di Flavio il quale scrisse
"Sei molto sensibile e non ti fermi alle cose esteriori,ma vai oltre,sei bella dentro."

Mi sentì molto offesa perchè dentro e non fuori?
Queste parole mi sembrarono sibilline e quindi non le commentai.

I giorni passarono ma lui non mi salutava,tuttavia la sua amicizia e le sue attenzioni mi rimepivano di vanità.

Ci vedevamo a casa mia quasi ogni pomeriggio,ogni tanto mi teneva anche la mano.
Diventò il mio più caro amico,in pubblico mi sorrideva,infondo scoprimmo di essere amici da parecchio tempo,stare con lui era faticoso perchè lo trovavo assai simile a me,le sue superiorità su di me come il sapere suonare e andare in bici senza mani non mi opprimevano,era un'invidia ma senza dolore.

Lui mi suonava i metallica e io gli scrivevo le poesie, ci scambiavamo le nostre più grandi passioni e le figurine di calcio.

Provammo il vero piacere di dirci in continuazione la verità. Gli chiesi come giudicava il fatto che fossi grassa e lui mi diceva che si lo ero,ma le bambine magre erano tristi,io invece ero bella dentro e felice fuori.
io gli dissi che era strano il fatto che lui fosse maschio e avesse i capelli lunghi,ma lui non se ne curò.

Mi dava fastidio il fatto che quando non capisse una cosa alzava puntualmente la mano dicendo "Non ho capito!"

Un giorno senza motivo smettemmo di parlarci,forse eravamo diventati grandi,ci eravamo accorti che o diventavamo qualcos'altro oppure dovevamo separarci e così ci separammo, le mie infelicità  nascevano e crescevano altrove.

Smisi di scrivere poesie tristi,non avevo più amori,l'universo mi sembrò una pianura brulla ed arida e mi fermai un tratto aspettando cosa succedesse e soprattutto che mi sparisse quella sorta di malinconia e insopportabile indifferenza.

tutte le storie sono storie d'amore.

















"Mi piacerebbe che la persona che piú ti amerà possa amare il tuo congedo come un marinaio che vede la sua vecchia barca allontanarsi e galleggiare sapiente lungo la linea dell’orizzonte. E tu allora porterai quell’amore sempre con te, nascosto nella tua tasca piú intima."

lunedì 11 marzo 2013

Qualcosa sui tramonti

Poi ti capita quella mattina di Giugno, in cui hai voglia di fare qualcosa di diverso, che possa cambiarti la giornata, dato che è sabato decidi di prendere la macchina e dirigerti verso Nerano.

Un posto conosciuto da tutti, chiamato "La baia delle Sirene", non hai mai indagato il motivo di questo nome, probabilmente lo attribuisci al fatto che lì doveva viverci una delle tre famose sirene.

C'è un timido accenno di estate, il traffico è scorrevole e tu hai voglia di stare da solo.

Con te hai portato le tue fidate Marlboro light e il libro che stai leggendo da un mese e che non riesci proprio a finire per i tuoi impegni di lavoro.

Arrivato alla baia, paghi il parcheggiatore, lasci le chiavi nella tua serie 1 rossa fiammante, e ti scordi l'iphone in macchina, e sei felice di averlo fatto, speri poi però di ritrovarlo.

Arrivato alle scale scorgi quella montagna, quella che vedevi anche da bambino, quando ti ci portava tua mamma, e la sfilza di ombrelloni blu dello stabilimento.
C'è una brezza leggera né calda né fredda, che ti fa venire voglia di fare respiri più profondi.

Sei felice di vedere che c'è pochissima gente, e allora prendi il giornale sotto braccio, saluti il gestore che ti riconosce e felice ci scambi quattro chiacchiere.

Ti indica un bell'ombrellone sul bagno asciuga composto da vari ciottoli.

Dopo due ore ti senti rilassato, cerchi di abbronzarti, finchè non arriva lei, che stende il telo, si spoglia e lascia addosso il suo minuscolo tanga, si sdraia e sbuffa.

Qualche volta legge un libro, delle riviste dove dicono che due si sono lasciati e altri due hanno avuto un figlio.

La maggior parte del tempo rimane sdraiata, in uno stato di dormiveglia.
a volte mangia uno yogurt, a volte della frutta.

Lei è di quelle che mangiano solo frutta d'estate, lo sai.

Sai che non farà il bagno per tutta la giornata, e tu non sai perché la gente vada al mare e non si faccia il bagno.

Questi sono però dei giorni buoni, di completa solitudine.

Quando si alza incontra alcuni uomini, le chiedono da accendere, la guardano intensamente da così vicino, con occhi socchiusi per essere più affascinanti.
A te però dà un po' fastidio, non sai bene il motivo.

Alle volte ti chiedi se qualcuno sia stato seduto vicino a lei anni prima, sarà accaduto di sicuro.

Lei risponde a monosillabi,non ce la farebbe a mandarli via.

Loro le parlano del mare e del fatto che sia bello, brutto, pulito, calmo o agitato. c'è gente, non c'è gente.
Oggi è una giornata meravigliosa, ed è bellissimo stare in spiaggia.

Lei forse non capisce che è una battuta diretta a lei, che è bello stare sulla spiaggia perché c'è la sua presenza.

Lei però non fa altro che dire si è vero, oppure mhh o annuisce.

Chiude solo gli occhi contro il sole e ascolta quello che le hanno da dire.

Lo sente caldo e sa di essere bella con gli occhi chiusi.

Uno alla volta, gli uomini di turno le si sono seduti vicino e le hanno detto le più gradi banalità di questo mondo.

Alcuni, gli sfacciati, le hanno addirittura fatto dei complimenti.

Le dicono che il topless è una cosa liberatoria, che dovrebbero un po' farlo tutte.
Alcuni tipi dicono che non stanno lì a parlare per guardarle il seno e la rassicurano.

"Poi è brutto vedere una donna con quei segni bianchi non sei d'accordo?"

Lei risponde, si,mhh,vero.

Forse, lei sa tutto e si sente meno sola, e risponde così perché in realtà potrebbe invece scoppiare una risata senza fine.

Oppure se parlasse un po' di più, scoprirebbero che ha dei sentimenti, e le farebbero dei complimenti per la sua sensibilità o per il carattere.

Allora non fa altro che annuire tutto il giorno.

"Posso sedermi qui, vicino a lei."
Lei apre l'occhio destro, si intravede un piccolo smeraldo.

Mi fa un cenno alla testa.

Forse, c'è quel momento in cui c'è la consapevolezza che arriva la donna, la tua, che a te sembra una ragazza qualsiasi sulla spiaggia.

Arriva lei e le tue certezze vacillano.

Non ci puoi fare niente in quel momento, aspetti solo che ti chieda poi di andare di nuovo a mare in quello stesso posto, finalmente poi si porterà il pezzo di sopra.

Oppure quando andremo al supermercato insieme mi dirà che da una parte non c'è fila, e che è scorrevole.
Mi dirà di passarla a prenderla alle nove meno un quarto e poi scenderà alle nove e mezza, sorridendo, che odora di doccia e mi abbraccia.

Ma soprattutto che devi lavorare di meno e prendere la vita con più leggerezza.

Capisci che in quel momento, arriva il segnale, che dice, e vabbè, proviamoci con la ragazza senza pezzo di sopra che hai conosciuto in una giornata di inizio giugno.

Lasci che questo destino di avere incontrato questa donna, ti prenda.

Allora prendi fiato per iniziare ad intraprendere un discorso, gli altri intanto ti guardano, perché c'è quel momento di suspance, risponderà anche a questo qui con monosillabi?

"I tramonti sono molto tristi se vengono guardati da soli, lei non trova?"
Mi accendo una sigaretta, sposto gli occhiali da sole e prendo un ciottolo tra le dita.

Lei rimane interdetta, poi sorride e risponde:

"Ha letto anche lei il piccolo principe allora?"

Una sera dopo tanto tempo la incontri ad una festa e ti ricordi dei suoi baci.

Di questo ti ricordi, del primo giugno e dei ciottoli, gli ombrelloni blu e la montagna.

Una sera, tanto tempo dopo, la incontri e le dici ciao.

Vi abbracciate come due che non capiscono come sia possibile che non si vedano più.

Lei poi riceve un sms e risponde.

Pensi che dovrebbe esser giunto il tuo momento di dirle:

"Noi ci siamo baciati una volta, vero? Sulla spiaggia di Nerano ricordi?"

Capisci che non puoi farlo, e che quello accade solo nella tua testa.

Che vorresti proprio dirglielo ma non puoi.

Pensi che non vedi l'ora che arrivi quella sera in cui lo farai, ma non sarà tanto presto, no, non credi proprio.

"I tramonti sono belli proprio perché li si guarda in solitudine."

sabato 9 marzo 2013

Maria


Tutte le volte che mi hai guardato negli occhi,sapevi che io mentivo.

Ma tu facevi finta di niente,mi preparavi la colazione:"Allora, i cereali integrali,la marmellata buona di ciliegie e il toast."Mi sorridevi con un'aria complice,invece quando eri arrabbiata me la preparavi lo stesso,magari senza dirmi buon giorno, ma la colazione la trovavo sempre lì.

Tutte le volte che sono tornata da scuola e nascondevo un dolore,sapevi guardarmi gli occhi,all'ombra del mio sorriso tu chiedevi "Tesoro cos'hai?"e d'un tratto scoppiavamo a piangere entrambe davanti al telegiornale,alle zuppe di farro e ai panini del forno.

Pranzavamo spesso da sole e io a volte appena finita la frutta correvo in camera,perchè non avevo voglia di parlarti,tu non mi hai mai detto niente,ti alzavi sparecchiavi e mi portavi il caffè.

Ci abbracciavamo nel silenzio pomeridiano,quando mi sentivo demotivata e sola,il tuo modo di abbracciare era perfetto e tu combaciavi perfettamente con me.

La domenica mattina,ti portavo il caffè ed odoravo di nascosto il tuo cuscino,perchè il tuo odore mi è sembrato sempre il più buono ma non te l'ho mai detto.

Mentre tu facevi la cucina io studiavo,ogni tanto per non studiare più ti chiedevo qualcosa e finivamo inevitabilmente per parlarne per un'ora e io finivo inevitabilmente per non studiare.

Abbiamo litigato davanti chissà quanti piatti di pasta,di ogni tipo,abbiamo rotto qualche bicchiere e fatto scendere la vicina per chiedere se fosse tutto apposto,e noi ci asciugavamo le lacrime.

La notte tornando ti trovavo ancora sul divano,nonostante fossero le tre di notte mi hai sempre aspettata.

Qualche volta mi hai dato uno schiaffo ed io ti ho risposto con un altro.
Ti avevo fatto più male io,però con la tua energia e la tua tenacia mi avevi fatto credere che avevi vinto tu.

Ti ho sempre mentito e tu mi hai sempre detto invece la verità.

La classica frase era "Te la dico perchè è la verità,non per ferirti."

Ad ogni mio fidanzato dicevi che non ti convinceva e poi mi dicevi dopo qualche mese che alla fine stavamo bene assieme.
Ti ho anche detto che ti odiavo,quando tu mi stavi accanto e mi dicevi che mi amavi più di qualunque altra cosa.
Adesso siamo lontane ,la sera mi telefoni,ti rispondo parliamo del più e del meno per dieci minuti,qualche volta mi arrabbio e tu ascolti senza un piatto davanti.

La frase che dici più spesso è tu sei forte.

" Prendo il primo aereo e vengo."

La lontananza ci ha legato ancora di più di quanto lo fossimo prima.

Dopo un po' ho capito. Essere mia madre non è facile, non è facile esserlo in generale.

Penso a quando volevo evitarti,quando eri l'ultima delle persone che volevo vedere.
Me ne pento da morire adesso che ti sono lontana.

"Non vorrei mai cadere nel banale con te,vorrei che tu fossi felice come lo sono io quando vedo che tu sei felice,ma non come lo dici e fingi,quando lo sei veramente."

Sappiamo mentire bene tutte e due.

Spesso prima di andare a dormire prendo la nostra foto,quella che ci ha scattato papà a Gardaland quando avevo otto anni.

Nella foto io ho le trecce,un pantaloncino celeste,tu hai un vestito largo blu a fiori.La giostra gira e noi siamo state catturate in quel movimento,tutto attorno è sfocato ma si vedono bene i volti,papà è riuscito a metterli a fuoco.

Tu hai paura delle giostre allora io ti tengo la mano.
Insieme ridiamo e ci guardiamo negli occhi il tuo è un riso che scaturisce dal timore dall'incertezza.

Ma non importa,non chiedi di scendere perché io ti tengo la mano.
Sono passati dodici anni da quella foto.

Mi guardi ancora con quello stesso riso e io inevitabilmente non posso fare altro che stringerti la mano e sorriderti mentre ti guardo negli occhi.

giovedì 7 febbraio 2013

Stagioni ipotetiche


Mi piacerebbe che tu venissi a portarmi il caffè in una mattina d'estate, e che guardassimo la gente passare dalla nostra finestra, che guardassimo ogni espressione e commentassimo ogni personaggio un po' strano e che dicessimo la stessa cosa nel momento esatto in cui qualcuno passasse.

Vorrei che ci trovassimo insieme senza saperlo in un parco,che attraversassimo la stessa strada e ci guardassimo dai lati della strada e ci scambiassimo un debole sorriso, poi più in la, ci diremmo distesi su un divano in un giorno di pioggia, ti ricordi la prima volta che ci siamo guardati?

Mi sorrideresti fiducioso, e poi ci appoggeremmo sul braccio del divano e leggeremmo un libro insieme, e svolteresti anche velocemente le pagine. Aspetta, però io adesso ricordo che a te non ti piace guardare la gente che cammina, non mi avresti guardato in quel modo, perché guardare le altre negli occhi ti imbarazza, e non ricorderesti niente, perché le cose che sembrano superficiali ma non lo sono non le ricordi mai.

Vorrei allora che fosse autunno, con un cielo grigio e con le foglie morte ai nostri piedi, trascinate per le strade dal vento tiepido, nei quartieri alti di Milano, vorrei che fosse un sabato pomeriggio, dove i ragazzi che vanno a scuola ancora non sono interrogati e allora passano il tempo girando senza pensare a nulla, e noi saremo come loro.

Non ci sarebbero pensieri tristi e molesti, ma sarebbe tutto intrinseco di poesia Leopardiana, i nostri cuori si vorrebbero bene, ci terremmo per mano per tutto il tempo fin che non ci sudano, e ci diremmo cose insensate, banali, stupide ma anche care.

Si farebbe buio e si accenderanno i lampioni e si vedrebbe bene lo smog, ci chiuderemo in un cinema e ci ameremo di nascosto, però quasi in silenzio, senza dare fastidio a nessuno con i baci che sanno di pop corn.

Tu purtroppo sei una persona molto seria, sei sempre in cravatta e allora non mi diresti mai delle cose che sembrano sciocche,né tanto meno mi prenderesti per mano, fatta sera mi porteresti a casa a guardare la partita, la squadra perderebbe e non si farebbe un bel niente...

Ti lamenteresti di essere stanco, perché il sabato questo diresti, sono stanco e null'altro.

Allora perché no la primavera? In una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose semplici, per un fiore colto male, per le rane che saltano, o per i boschi, lì non avresti scuse, perché sarebbe una valle deserta e sconfinata, Ci fermeremmo su un ponte, ci scambieremmo dei messaggi e io ti prenderei una margherita e te l'appoggerei sull'orecchio.

Contemplerei il cielo, e qualche nuvola dalla forma strana, per poi finire in un bacio, lungo appassionato, e le mani nello stesso posto dove le hai tu.
Tu diresti che sarebbe tutto perfetto, perché saremmo felici, avendo il nostro corpo che ormai sta invecchiando, studiarci le rughe, ricordare gli sguardi di quando eravamo ragazzi, le abitudini e tante altre cose.

Adesso che ci penso però, tu ti guarderesti intorno, oppure guarderesti il cellulare, e non diresti che è tutto perfetto, perché purtroppo sei così, per te niente lo è mai, e non saremmo neppure un istante felici, non ci basteremmo mai.

Perché non pensare poi ad un nostro inverno, un bel tramonto a dicembre, alle tre del pomeriggio, in riva al mare, chi ci sarebbe? nessuno.

Quando il cielo diventa cristallo, quando si pensano alle cose più tristi, quando le strade sono piene d'inquietudine noi ce ne andremmo al mare, noi invece saremmo felici e quindi la nostra felicità verrebbe riflessa, come se fossimo uno specchio d'acqua, e ogni sentimento di bontà e tenerezza, guarirebbe ogni piccola altrui debolezza e tedio.

Ora però, capisco bene che invece di guardare il cielo, che sarebbe di cristallo e le nuvole che vanno verso altri orizzonti, vorresti tornare a casa, perché diresti che fa freddo, e che c'è umidità,non sentiresti l'inquietudine né la tristezza, non te ne importerebbe della gente, ed io mi sentirei come una conchiglia persa in riva al mare, tra bottiglie di vetro e mozziconi di sigarette.

Passate queste stagioni ipotetiche, non saprei cosa altro dire, se non che sei quello che più lontano vorrei che tu fossi.

Forse hai ragione sono tutte sciocchezze quelle che dico, tu sei migliore di me perché fai tante cose, dai un senso alla tua vita stando chiuso in un ufficio, e torni a casa la sera tardi ed hai ancora da lavorare, mentre io tutto il giorno scrivo una marea di stronzate.

Almeno io però ti penso, in qualche modo riusciremmo a trovare un modo nostro di capirci, non importa se d'estate, d'autunno o di inverno, se con il mare, le colline in mezzo alla folla.

A me basterà sempre averti vicino, io ascolterò ogni lamento, ogni piccola incertezza, ogni chiamata sul tuo telefonino.

Rinuncerò alle cose più care che amo anche se sembrano inutili,avrò pazienza dei tuoi difetti e forse saremmo felici a quel punto.

Respiro un momento, accendo una sigaretta.

So che adesso sei lontano anni luce, e che non parliamo più, hai una vita diversa dalla mia e farnetichi di cose importanti in televisione, io sono qui seduta su una sedia, in questo piccolo posto chiamato volgarmente manicomio, ed ignoro ogni cosa della tua vita privata, perché so solo che sei un personaggio che esiste, che però mi è piaciuto inventare un'ipotetica vita con te.

Non ti dimenticherò mai perché ho fatto parte per un po' della tua vita, tu invece forse non ricordi più il mio nome, sei confuso e stai tra tanta gente importante, e i nomi che ti servono al momento te li dice all'orecchio tua moglie.

Non riesco a non pensare a te ed in ogni caso ho da perdere ancora molte giornate per scriverti queste care cose che non leggerai mai.


martedì 29 gennaio 2013

Il momento in cui devi prendere un respiro profondo prima di parlare perché sai che sei così vicino a piangere.

Gerlotti - Giannini

C'era una lettera, nella buca della posta.

Mi tremavano le mani, perché dallo spiraglio trasparente, riuscivo a vedere la sua grafia, "A Christian".

Sapevo già chi fosse il mittente, Silvia.

Il modo in cui ci siamo conosciuti è stato un modo un po' strano, mi ha cercato lei, perché lei era molto intraprendente, mi era venuta a pescare in un bar, avevamo qualche amico in comune ed io la conoscevo soltanto di nome, qualche volta Alessio l'aveva nominata alle partite di calcetto.

Dopo qualche scambio di sguardi avevo capito tutto, e lo aveva capito anche lei.

"Che ne pensi di venire il prossimo weekend alla casa al lago?
Porta anche la tua ragazza, se vuoi."
Questa fu l'unica frase che mi disse, dopo avermi guardato tutta la sera.

Ovviamente non la portai.

La prima volta che misi piede in quella casa, tutto mi sembrava perfetto, il clima, il tappeto zebrato anche se stonava con l'ambiente, l'abajure sul comodino, i riflessi dell'acqua che adornavano l'esterno di una casa di una luce nuova e pulita, tutto sembrava gestito da un'armonia incontaminata, che  però avrebbe presto contaminato noi.

L'emozione più grande, fu quando nel bel mezzo della festa, mi fece segno di seguirla per posare delle bottiglie che alcuni amici avevano portato.

Un bacio silenzioso, perché così sembrano i baci che si danno di nascosto, interrotto da un sorriso e da uno sguardo complice.
 Lì forse mi ero già innamorato di lei, perché sapevo di non avere mai provato una sensazione simile.

Mai avrei pensato che in quella bellissima casa, ci avrei passato molti e altri weekend, e d'estate sarebbe stato lo scenario delle nostre notti di passione, che quel tappeto sarebbe stato il nostro letto e che lei sarebbe stata la mia amante per tre anni.

La lettera la aprì e non volevo leggere, perché sapevo già cosa ci fosse scritto, perché per due giorni non rispondeva più ai messaggi in codice, ai post it che le lasciavo o ai messaggi che le mandavo alla sua segretaria.

15 Aprile 1988
"So bene che quello che stiamo facendo non ci porterà mai a nulla, non  ci spingiamo oltre al limite a cui siamo arrivati, non odiarmi perché ti sto lasciando con una lettera, non lo faccio perché sono una vigliacca,
lo faccio semplicemente perché so che se tu mi guardassi, io non riuscirei a dirti queste parole, so che alla fine prenderei un bel respiro, prima di scoppiare in lacrime, anche se è uno dei momenti che preferisco, sai che non piango mai, non mi farebbe male piangere ogni tanto.

Non lo faccio per te, lo faccio per me, perché non lo lasci? mi diresti, perché non scappiamo insieme?
Ma dove scapperemmo?
Erano così belli quei pomeriggi, quelle notti, quelle mattinate in cui ci svegliavamo e potevamo far finta di stare insieme, dirci delle cose che ai nostri fidanzati non dicevamo mai, poterci dire tutto quello che volevamo perché ci sentivamo liberi.
Chissà a quanti convegni avrai detto di aver partecipato, dopotutto sei un medico, e conferenze su conferenze hanno potuto darti respiro dalla città per andare a rotolarti tra le mie braccia, per farti preparare il caffè, per farti sentire mio, almeno tre volte ogni due settimane.

Ad Alessio invece dicevo che volevo stare sola, lui mi credeva, non so ancora come poteva farlo, eppure ha deciso di sposarmi, forse lo fa per paura che io possa scappare, e probabilmente non ha tutti i torti, sarei quasi tentata dal farlo.

Non odiarmi perché non scelgo te, sai come sono, ci saremmo stancati l'una dell'altro, me lo dicesti quel pomeriggio mentre mi spingevi ed io ero sull'altalena, il nostro rapporto è bello perché non siamo vittime dell'abitudine, non finiremo mai per odiarci perché noi non ci apparteniamo, mi dicevi, però io so già che arrivato a questo punto della lettera, non riuscirai più a distinguere le lettere, ti si offuscherà la vista e allora deciderai di smettere di legg..."

Non ho mai finito di leggere quella lettera, perché altrimenti si sarebbe bagnata subito, non volevo rovinare il suo ultimo cimelio.

Conservavo ogni tanto i suoi capelli, in un posto ben nascosto in bagno in modo che Lara non li vedesse, non potevano essere i suoi perché Silvia è bionda, Lara invece è castana.

Mi sono sempre chiesto che espressione avesse fatto se avesse visto quel cumulo di capelli nascosti nella mattonella del bagno,quella che ogni tanto traballa un po'.

Volevo che Lara scoprisse macchie del suo rossetto, invece lei è distratta, non scopriva niente, oppure aveva troppa fiducia in me.
Non ho mai capito perché non l'ho mai lasciata, e non ne avevo voglia di farlo stasera.

Sapevo che Silvia avrebbe cambiato idea, e allora chiamai Alessio e decisi di invitarli a cena, perché lei non avrebbe potuto opporsi, perché so che Alessio non rinuncia mai alle cene a casa mia, volevo rivederla e dovevo farlo.

Alessio non rispose per diversi giorni al telefono.

Non mi invitò al suo matrimonio, allora capii tutto.
Nonostante avesse scoperto tutto non mi aveva detto niente.
Forse anche Lara ci aveva scoperti, ma non decise mai di sposarmi, mi lasciò qualche anno dopo, con un post it, no lei non era una ragazza da lettera.

Il tempo passò e vedevo le sue foto, ormai quando rivedevo non riuscivo a pensare a lei come un qualcosa che aveva fatto parte del mio passato o della mia vita, quando vedevo quelle foto dove c'ero anche io, ben nascoste, mi sembrava una presenza estranea che era in un modo o nell'altro finita nella mia vita ordinaria.

Era se come i nostri momenti migliori fossero stati cancellati, perché nessuno sapeva di noi, e ora che non ci sentivamo più era come se la nostra relazione segreta non fosse mai esistita, come se fosse stato un lungo sogno, dal quale poi ci si sveglia e ci si rende conto che è stato solo frutto della nostra mente, proprio quella sensazione in cui ti svegli, e sei profondamente deluso che ciò che è successo lo hai visto, toccato, odorato, sentito tuo e poi alla fine non è vero e durante il corso della giornata lo si dimentica.
Qualcosa però non era andato come mi miei piani perché gli anni passarono e...

Io non dimenticai mai i suoi occhi né la linea sottile delle sue labbra, il suono della voce e ogni parte del suo corpo, i buchi di venere sul fondo schiena, la cicatrice minuscola che aveva all'angolo dell'occhio,  niente di niente, perché tutti quei momenti che avevamo trascorso non erano molti e ogni volta che l'avevo vista volevo imprimerla nella mia memoria, e volevo che non uscisse nessun dettaglio di quelle giornate.


Mi resi conto che 24 anni dopo, forse avevo cominciato a dimenticare il numero dei nei che aveva sul volto, o se effettivamente avesse una voglia sulla gamba destra o sinistra.

Non mi mancò mai, perché era un'eterna presenza nella mia memoria, e no non era un'abitudine ma neanche qualcosa che non volevo che lo fosse.

Pochi giorni fa, avevo deciso di iscrivermi su facebook.

Stasera ho trovato un suo messaggio:

Silvia Infante scrive:

"Solito posto, solita ora, sono un po' invecchiata, forse mi riconoscerai, forse no, il caffè lo so ancora fare, l'amore forse, poi vediamo, abbiamo ancora tanto tempo, almeno tutto quello che ci hanno tolto in questi anni.
Ti aspetto S."

....


Il momento in cui dovetti prendere un respiro profondo prima di piangere.





sabato 19 gennaio 2013

Domenica saremo insieme

Mi hanno detto che sono usciti i risultati dell'esame.

Ho paura di andare a vedere, come sempre, eppure so che prima o poi quel cellulare squillerà e sarà qualche mio amico a dirmi il risultato ed io non saprò sopportarlo.

Metto la password, Esiti del 13 Gennaio PDF:

Matteo Bardi            INSUF

Certo che si sono sprecati, potevano scrivere non idoneo, insufficiente, EMERITOIDIOTA.

Sono stato bocciato, mi mancano due esami alla triennale, ho 24 anni.

Accendo una sigaretta che nei momenti di dispiacere ha sempre un sapore più amaro del solito, il fumo mi entra nei polmoni, lo sento e cerco di trattenerlo ancora un po' perché mi voglio fare male.

"Oh, Mattè stasera andiamo al Woods, che vuoi fa, vieni? Ci stanno le straniere, una te la porti a casa di sicuro, stanno sempre come le pazze quando vanno là."

Questo qui è il mio coinquilino, io lo odio.
"Mi hanno bocciato a statistica, mi sa che io non ci vengo al Woods stasera, non ho niente contro le straniere ma devo riuscire a chiedere a Camilla se vuole uscire."
"Ah e ti pareva oh, può essere che per il duemilacredici te lo prendi st'esame."


Intanto la neve iniziava a venire giù, Matteo è sul letto, vuole leggere perché non può pensare che adesso dovrà di nuovo rifare l'esame, legge due fumetti, si mette a pancia sotto, vede su facebook se Camilla ha scritto qualcosa oggi.

(Lui è un ragazzo molto profondo, per fortuna nessuno se ne rende conto e lascia credere tutti che sia un superficiale studente di economia fuori corso per giunta.)

"Sono innamorato di Camilla."
Sospiro...

Il problema è che la trovo meravigliosa, se ci uscissi andrei completamente in panico, non saprei cosa dire, di cosa parlarle, eppure è una tipa così interessante.

La storia è un po' complicata, perché Camilla l'ho conosciuta per caso, ma mi è subito piaciuta, si aggirava per l'università in preda ad una crisi di panico si è versata un'intera bottiglietta di acqua in testa, si è seduta e poi dopo un po' è andata in bagno a vomitare.

Io conosco lei, ma lei non conosce me più precisamente parlando.

Ha i capelli neri, occhi altrettanto neri è alta quasi quanto me, si veste troppo bene, ha una vasta platea di corteggiatori, è figa insomma e io non posso fare niente né voglio farmi notare da lei.

Così vado al Woods, senza che abbia chiesto a Camilla di uscire, perché non volevo avere due risposte
con un INSUFF in una sola giornata.

Sei insufficientemente bello, sei insufficientemente ricco, sei insufficiente, Matteo in tutto e per tutto.

In realtà mi sono fatto sempre dei complessi di inferiorità pazzeschi sugli altri, anche essendo un discreto ragazzo, moro, occhi chiari alto 1,77 peso nella media.
A me le ragazze mi vogliono sempre fare eh, non mi lamento.

Eppure mi ha pure aggiunto su facebook,ho chiesto ai miei compagni di corso, ma secondo voi se una ti aggiunge su facebook, ce lo vuole?
Perché io di ste cose non sono pratico.

Ma quelli so invidiosi e mi hanno risposto non per forza.

Ma forse è vero, parliamo sempre di cinema, musica e arte e cazzi vari, però tipo non mi ha mai messo mi piace.

"Eh, allora se non ti ha messo manco un mi piace non ci sta, no."

Ma che cazzo ne sai tu che sei un cesso cerebrolese?

Lei non mi hai mai visto da vicino, io l'ho vista in continuazione, mentre studiava in biblioteca, mentre camminava per strada oppure in qualche bar vicino l'università.
Di lei noto sempre ogni particolare del suo viso che sprigiona una grazia unica, e le sue dita affusolate mentre attorciglia i capelli e guarda attenta i libro, oppure mentre ride e beve il the.

L'ho sempre soltanto veduta nei suoi istanti più belli, non ho mai voluto fare parte della sua vita, né penso ne farò mai parte.

Infondo è bello così, non complichiamo le cose.

Entro al Woods,prendo una Belga media, almeno una birra decente, gli altri iniziano a parlare di stronzate disumane allora gioco in un angolino a Ruzzle.

Mi sento toccare una spalla mentre sto facendo l'ultima parola, dopo che ci sono tre secondi alla fine, alzo gli occhi distrattamente, li riabbasso, li rialzo...
"Matteo, sei tu?"
...
HAI PERSO  1200  / 1740

"Camilla Borzotti?"

No, vabbè ma che espressione ho in questo momento, perché sta guardando lo schermo del mio telefonino? Perché sorride come per dire, ma tu guarda sto scemo che gioca a Ruzzle la domenica sera...

"Ciao, ti ho visto da lontano, e ti ho riconosciuto, sei identico in foto."

Si beh, io non riesco a parlare ma so che se non dirò neanche una parola, nella sua memoria rimarrò impresso come quello che non ha parlato quel sabato sera al Woods o peggio ancora come lo scemo che gioca a Ruzzle in disparte mentre gli altri parlano di calcio, quindi.
Questo è il momento della mia confessione, allora prendo fiato e...

"Si, lo penso anche io Camilla, che tu sia identica a come sia in foto...
 No non è vero ti sto dicendo una cazzata, adesso che ti vedo meglio il tuo viso è molto più luminoso, ed hai un espressione che trasuda serenità e bellezza allo stato puro, gli altri non potranno mai capirlo e devo dire da una parte mi fa piacere perché mi sento un po' come quando entri in un museo, e la gente idiota dice, che bel quadro, bello.. bello e lo vedono un minuto e se ne vanno e non rimane niente loro, che un'immagine come le altre, invece io ti guardo per ore, come se avessi visto un qualcosa di unico ed irripetibile, e non passo e vedo ma ti guardo, e osservo ogni minimo particolare, perché ogni piccolo dettaglio del tuo viso, anche un'imperfezione equivale ad una ditata di un dipinto di Van Gogh, ogni minimo tuo passo è come una foglia che danza nel vento, ignara del tempo che passa, ogni tuo sorriso è una fresca ventata nel caldo pomeriggio d'estate, tu sei bellissima Camilla, nel più puro significato che la bellezza può assumere."

Potete capire adesso, che io ero alla terza pinta di birra, completamente ubriaco, mi ero sputtanato alla grande e non me ne importava, ero felice perché avevo detto la verità.

Camilla arrossì, ritornò al tavolo e tutta la serata la passò a testa bassa, sorseggiando un sidro alla mela e guardandosi le unghie.

Era bella anche mentre si guardava le unghie, ecco.

Dopo un po' decisi di uscire, un altra sigaretta.

Stava ancora nevicando, la gente camminava a fatica sui marciapiedi ghiacciati, alcuni si tiravano le palle di neve, un gatto cercava di prendere i fiocchi, deluso perché vedeva che al contatto con la zampa, i piccoli fiocchi si scioglievano.

Un po' mi stavo sciogliendo anche io, perché ero entrato finalmente in contatto con lei, e non era andata bene.
Una parte di me invece si convinceva che aveva fatto la cosa giusta, che aveva avuto le palle di dire la verità.

"Matteo, posso parlarti?"
Una voce efebica, calda e delicata aveva interrotto il flusso dei miei pensieri, la sua.

Mi prese per mano, entrammo in un posto scuro, con tanta gente, gettammo le giacche su di un divanetto e ballammo, era lei che mi teneva stretto, in quell'attimo che sapevo che sarebbe durato soltanto il tempo di una sera.

Sentivo il suo odore, il contatto delle mani e delle dita affusolate, il respiro e vidi gli occhi un po' orientali che mi stavano descrivendo le emozioni che provava ballando con me.

Tornammo a casa tardi,sfiniti dalla danza e dal freddo, eravamo completamente ubriachi, almeno io lei non so.

Mi fece vedere la sua stanza, piena di poster di Film, uno della Scala stagione 2012, una foto con lei e i modelli di Abercrombie, tante altre foto con amiche e una stampa di una frase.

"Domenica saremo insieme, cinque, sei ore, troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, per tenerci per mano, per guardarci negli occhi." Kafka.

Le presi le mani e le baciai, poi lei si addormentò.
Le guardai le scapole tutta la notte, e il modo in cui si inumidiva le labbra durante il sonno, dall'espressione provai a capire cosa stesse sognando, immaginai che sognasse il mare.

Era mattina e decisi di andarmene.
Questa domenica rimarrà per sempre nella mia memoria pensai.
Non c'è stato tempo di parlare di nulla di tutto ciò di cui parlavamo, hanno parlato i nostri corpi.
La guardai ancora, tra le nivee lenzuola che si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro.
Le scrivo un biglietto:
"Un'opera d'arte è bella Camilla, si è bella proprio perché è lì, ferma, immobile non si può possederla né si ha la volontà di farlo, non ci si può fare l'amore né tanto meno andarci al cinema o in discoteca.

Tu per me resterai sempre qualcosa di intangibile, il mio amore per te resterà sempre un amore platonico che gli altri non potranno cogliere, eppure  io ho fiducia in te e so che saprai che questa non è una lettera di uno stronzo che se ne sta andando perché si è accorto che stava facendo una cazzata e che tu non mi piaci veramente ma non riesco proprio a pensare come io possa amarti in modo diverso se non in questo, così puro e genuino, come si ama un qualcosa solo per l'amore fine a sé stesso e non ci si aspetta che 'altro faccia nulla, io ti amo per amarti e basta, forse ti amo come un'artista ama il suo quadro, è tutto."
ps: Mangi anche tu le gocciole, sarebbe stato un altro motivo per continuare a dire quanto tu sia perfetta.

La baciai sulla fronte, e le dissi Addio, lei non si svegliò ma fece un sorriso e si voltò dall'altra parte.

Qualche giorno dopo la incontrai all'università, lei sorrideva, io anche ma non ci parlammo, non si può dire che non ci parlammo e basta, ma qualunque cosa io scrivi qui non renderebbe lo scambio di parole silenziose che c'è stato in quel momento, e poi le parole hanno sempre un silenzio in cui si sono spiegate un attimo prima di essere dette.

Era stato bello condividere un attimo di infinito tra le sue braccia, lei dormì tutto il tempo quella mattina, io non potetti perché il cuore mi batteva troppo forte.



sabato 12 gennaio 2013

Ti sto aspettando a Parco Sempione

Sono solo le quattro e mezza, è l'ora del tramonto.

Vorrei che l'inverno passasse in fretta in questa fitta nebbia, vedo solo i tronchi degli alberi, sono stanca di camminare, vorrei vederti solo arrivare.

Deve essere qui, il punto in cui ci siamo incontrati.

Ti sto aspettando a Parco Sempione, in un punto dove si riesce a guardare l'arco e il castello, qui tra la nebbia e il freddo.
Non c'è nulla di peggio, credo, nel vedere gli altri che stanno bene nel momento in cui l'unico pensiero che ti fa stare male è lì accanto a te, e non se ne va.


Sono le cinque, guardo l'orologio e penso che sia difficile senza il sole trovarti tra la gente, perché non so come sei vestito, mi piace però immaginare quale giacca hai scelto per incontrarmi e quando sei così in ritardo sono felice perché ti vedo arrivare e perché posso immaginarti in tutti i modi e pensare che ti sei messo le scarpe blu.

Sono le sei, ti sto aspettando a Parco Sempione, nel punto esatto in cui si vedono i giardini di De Chirico, ogni volta che li guardo mi viene sempre una gran voglia di scavalcare, non riesco a non pensare a qualcosa dove non ci sia anche tu.

Vorrei che non esistesse nessuno al di fuori di noi, così potremmo correre, giocare a nascondino e fare l'amore sul prato, senza che nessuno ci venisse a dire che lì noi non lo possiamo fare, senza che sentissimo freddo, perché in noi ci sarebbe sempre l'estate.

Io ti prenderei la mano, ed inizierei a baciarti a scatto ogni mezz'ora, girandomi ogni tanto, per vedere se sei ancora lì, dietro di me.
Tu moriresti di freddo e mi chiederesti "Vuoi la giacca?"
Io ti chiederei di darmi il tuo corpo, perché è caldo abbastanza.

Ci ubriacheremo tra i cuscini dei bar in corso Sempione, e mangeremo fino a stare male, poi arriveremmo in un posto bello, dove si vede tutta la città, magari un grattacielo, e forse avresti voglia di farlo ancora una seconda volta e noi guarderemmo tutti e nessuno guarderebbe noi.
Sarebbe proprio bello.

Ti Aspetto a Parco Sempione, perché ho sempre un sacco di cose da dirti, ma quando ti vedrò, io già so che tu mi parlerai d'altro e io me le dimenticherò, perché quando guardo i tuoi occhi, dimentico il colore e la forma di ogni cosa.

Quando tu mi tocchi, io perdo il controllo ed ogni cosa perde la sua importanza, tutto è racchiuso in quel gesto, tutto si ferma tra le nostre braccia, e il silenzio in una città che vive solo di rumori si racchiude in uno sguardo di me e te che capiamo sempre tutto

Io e te, siamo un solo pensiero che non c'entrava niente con tutto il resto.
All'improvviso, scopro che l'unica cosa che voglio dirti è che ti adoro.

Ti sto aspettando, ormai è tardi, stanno chiudendo i cancelli del Parco Sempione, allora mi siedo qui, su questa panchina, ed intanto si sta facendo sempre più tardi ed io ancora non ti vedo in lontananza.




martedì 1 gennaio 2013

Le luci di sera, le nostre risate

Le sigarette che si fumano in compagnia hanno un sapore diverso e finiscono subito.

Mentre il collega, uno dei più boriosi e insignificanti parlava, Gilda oscillava lentamente il suo cocktail e ogni tanto faceva un tiro.

Ad un tratto si accorge che le si intravede il reggiseno di pizzo nero e  allora arrossisce e un po' di cenere cade a terra, il gesto distoglie l'attenzione di Manuel, che continua a parlare di quanto sia stata fantastica la sua festa nel Cottage nelle langhe Cuneesi.

"Un successone davvero, il catering splendido, persone altrettanto splendide."

Sei un finocchio, tutti in ufficio lo pensano, lo penso anche io e non so neanche perché ti sto ascoltando, anche se provi a nascondere la tua latente omosessualità smettila di metterti i calzini di Gallo in bellavista, non aiutano.

Eppure lei continua ad essere carina, quando sbadiglia mette la mano davanti la bocca e non guarda mai l'ora, proprio come le aveva insegnato sua mamma da bambina.

Questa patetica cena è quasi finita, adesso vorrebbe salutare tutti i suoi colleghi quelli che vede ogni giorno adesso sembrano molto più sistemati e fighi e lei con quell'abito banale, nero, scollato sulla schiena e anche un po' avanti, con dei tacchi dodici si sente estremamente fuori luogo.

Per fortuna è quasi finita, la stupida cena aziendale di metà dicembre, non si aspettava di incontrare nessuno anche perché l'unico che le interessava e che aveva appellato con la collaborazione della sua amica Ornella chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità si era portato Calendario di Max 2013.

E vabbè, continuano a disquisire Gilda e Manuel finché non vengono interrotti da Marco il quale esorta tutti a spostarti per un dopo cena a casa sua in via Montenapoleone,15.

Gilda non sa che fare, ci sono diverse opzioni quali ad esempio quelle di tornare a casa togliersi quel fastidiosissimo tacco 12, prendere la vaschetta di gelato comprata da Picard, e guardare la quinta puntata della sesta stagione di , oppure prendere  la macchina e andare.

"Prendo il cappotto."

Gilda è sotto il numero 15.
"Ma io cosa cazzo ci faccio qui?"
Sta pensando che si sente un po' una barca nel bosco tra tutti quegli uomini in giacca e cravatta che per il lavoro che fa per forza sono tutti uomini, mentre Ornella non è potuta venire per una banale mestruazione, puntuale di 15 dicembre.

"Senza buscofen, oh io non vivo, devo prendere almeno una per non contorcermi nel letto."

E va bene.

Si guarda allo specchio della macchina, una bellissima bmw serie 1, comprata ovviamente con il suo stipendio, orgogliosa perché infondo è una bella donna, un po' pretenziosa, snob ma bella.

"Non fare la cretina, scendi, non vorrai tipo fare la Bridget Jones della situazione, anche perché lei si faceva Hugh Grant con una 46 tu con una 42 non riesci a prenderti manco chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità."
Questo lo dice mentre si aggiusta la sua acconciatura, una banana che la madre le faceva prima di andare alle feste importanti, un po' di rossetto e via.

7 Piano ovviamente, l'uitmo.

C'è una musica insopportabile, una puzza di fumo uomini un po' viscidi le si avvicinano, per discutere del bilancio di fine anno, di fatture di altre stronzate che lei non vorrebbe più sentire dopo un certo orario, vorrebbe un uomo con un dolcevita che la invitasse a bere un cocktail in terrazza per discutere di film francesi, e che avesse un profumo di agrumi, fresco gli occhi verdi che la abbracciasse, non sti superpompati viscidi, che si sentono Dioscesointerra perché hanno un posto fisso, la macchina e poi se gli parli di Truffaut gli vengono in mente soltanto dei titoli di borsa.

Quindi Gilda cammina un po', si guarda attorno e la sua attenzione si sposta sul gesticolare di un uomo, abbastanza alto, spalle larghe, capelli lisci.

Lei quel gesticolare se lo ricorda bene, era per decidere se scegliere un film o l'altro, e poi dopo era seguito da uno sbuffo e da un ok guardiamo quello che vuoi tu.

Gli occhi diventano umidi,la bocca si sta seccando le mani sudano....

Le spalle,  sono le stesse di quando facevano i giochi a mare e lui la prendeva per farle fare i tuffi, ampie bellissime di chi ha fatto nuoto, si muovono armoniche sotto la giacca grigio scuro.
Lei lo ha riconosciuto, è certamente lui.

Decide di fare dei giri, cerca il cappotto, se ne vuole andare, non reggerebbe un suo sguardo in questo momento dopo una cena a base di tartine al salmone e caviale, dopo i racconti della magione estiva di Marco, dopo che Antonio non lo capisce proprio che gli uomini pelati non le piacciono.

Se lo ritrova davanti, è lui, ha uno sguardo inconfondibile, non ha mai conosciuto un uomo con uno sguardo così, la vede ma forse l'aveva già intravista perché non sembra tanto sorpreso di incontrarla o forse è apparenza lo sguardo fisso, il sorriso sornione, si avvicina ma lei si sente le gambe mancare.
"Gilda, volevo presentarti un mio carissimo amico, sai anche a lui piacciono i film francesi, si chiama..."

Si chiama... sono le ultime parole che Gilda sente, prima di cadere clamorosamente e di fare una discretissima figura di merda.

Lei sapeva benissimo il suo nome, lo aveva spesso chiamato nelle sere in cui si sentiva sola e piangeva, abbracciava il cuscino e lo chiamava sapendo che nella stanza vacua, non avrebbe mai avuto una risposta, perché lui non ci sarebbe più stato.
"Fabrizio."
Ed un sorriso inconfondibile, fu un estate a farli incontrare, era il 1997 e loro erano ignari che ne avrebbero trascorse tante altre.

Risvegli...

Non c'è imbarazzo quando poi si sveglia e se lo ritrova sul divano, a pochi metri da lui, la prima cosa che nota sono le rughe che gli sono comparse agli angoli degli occhi, quelli sono sempre dello stesso colore, neri , profondi come la pece, le labbra carnose quei denti perfetti, un po' meno bianchi di come se li ricordava, sorride.

"Dieci anni che non ci vediamo, dieci anni che non ci parliamo, e tu mi svieni così?"

Lei è confusa, non sa cosa dirgli, in realtà sarebbero tante le cose da dire in quella superficialità che ristagnava nell'area, in quei divanetti bianco avorio da diecimila euro,  sapevamo benissimo di essere in un momento catartico.

Ma a lei viene da dire soltanto una stronzata in quel momento.

"Ti ho scritto per dieci anni di fila gli auguri di Natale, perché non mi hai mai risposto?"
......

"Me li avresti fatti anche quest'anno?"

Una carezza sulla guancia destra, e già non sapeva più come rispondergli, le parole le si bloccavano in gola, tante emozioni, parlare dei loro incontri, lei lo aveva visto solo due volte, una per strada a Pompei mentre attraversava, uno scambio di sguardi e basta, e poi anni dopo, forse due anni fa in libreria lui era con una ragazza, le diceva qualcosa all'orecchio abbracciandola lei era con Luca, non le sembrava il caso, eppure con tanta naturalezza, aveva cercato di cercare un approccio, uno scambio di parole, con dei banalissimi auguri di Natale, che potevano anche risultare fastidiosi.

"Si,certo."

"Non ti ho mai risposto perché sapevo, come è tua consuetudine fare che saresti entrata nella mia vita, come un uragano, senza chiedermi il permesso e se ne fossi uscita avresti portato soltanto catastrofi, o mi sbaglio?"

Il suo modo così posato di parlare, gli occhi gli si stavano inumidendo, perché molte volte si erano seduti così sul divano di casa sua, prima di una tazza di cioccolata calda o di un caffè.

Le pause in cui parlavano di ogni cosa prima di riprendere quello che stavano facendo, adesso a 34 anni si ritrovavano su un salotto, entrambi molto imbarazzati perché venivano da una lite furibonda avvenuta 12/12 anni e mezzo prima.

Non ti sopporto più, non è un atteggiamento da persona matura questo,non voglio più stare con te, non sono sicura di amarti ancora. Lei.

Non voglio più stare con te, sei una tale palla al piede tu e le tue malinconie di stocazzo, sei una persona triste,vattene non ti fare più vedere, e poi io non ti amo più, forse. Lui.

I gesti si inciampavano addosso, non facevano  più l'amore, lei la sera leggeva e lui si trovava qualcosa da fare, e non potevano, non riuscivano a trovare dei ritagli di intimità, si erano persi avendosi l'uno accanto all'altra e tutto finiva in terribili liti.

Una sera lei sen'è andata, lo ha lasciato solo per molti anni,prima di ricomparire una sera davanti la sua porta, lui gliel'ha chiusa in faccia, chiedendole di non cercarlo più.

L'anno dopo per dieci anni conseguitivi lei ha cercato sempre un contatto, mandando cartoline e auguri di Natale, cercandolo per dei messaggi teneri, con dei testi di canzoni, con parole sue molto belle e toccanti ma lui non l'ha mai più cercata.

"Ti ricordo, che ho provato a spiegarmi più volte le mie motivazioni ma tu mi hai sempre attaccato il telefono in faccia e non hai mai provato a volermi vedere."

Adesso gli tocca la mano.

"Sempre la questione dell'uragano, mi avresti devastato un'altra volta, e poi avresti detto mene vado ciao, perché tu sei così,ho imparato a conoscerti bene in questi anni di assenza, credimi."

Adesso i volti erano molto vicini, lui aveva voglia di abbracciarla e lei anche.

Quel momento di forte tensione fu interrotto da un pianto liberatorio, le gocce nere, dovute al fatto che il trucco si stava sciogliendo caddero sulla generosa scollatura e poi sul divano bianco, lui la strinse e riconobbe la schiena, l'odore i gesti di una volta, e tutto fu avvolto da un mantello di emozione, alla quale nessuno dei due poteva sfuggire.

"Non importa, Fabrizio, non importa quanto siamo stati lontani, se ci siamo pensati o meno se siamo stati nella stessa città, se qualche volta ci siamo traditi oppure se ci siamo sentiti in grado di farcela da soli se ci sono state le incomprensioni.
Chi è destinato ad amarsi si incontra sempre in qualche modo, in ogni luogo, in ogni giorno, ogni ora del ricordo, nei sogni che svaniscono al mattino, nell'anima."

Fabrizio la bacia, e ricorda quei baci distratti che le rubava, il sapore che aveva. La vuole.
Lei non sa cosa sta succedendo è ancora frastornata, i cocktail, il suo odore, il fatto che sia svenuta.
Ad un tratto si blocca, forse prende coscienza anche lui del gesto che ha appena compiuto.

"Sono fidanzato, tra qualche mese mi sposo."

Iote-Milano di notte.

Mi alzo lentamente dal divano, barcollo, voglio tornare a casa, voglio mettermi sotto le coperte e non ci voglio pensare perché adesso sto per ricominciare a piangere ma devo trattenermi, è così che fa per molti anni lo ha fatto, rovinerà sempre tutto e non ci capiremo mai, perché mi fanno così male i piedi?

Adesso lascio che si sposi, che viva la sua vita felice, lontano da me.

Lui un po' la insegue ma senza dare nell'occhio la folla lo frena, continua a camminare non ci vuole pensare che lei adesso se ne andrà senza avergli lasciato un numero, un altro bacio, non vuole perderla per l'ennesima volta, anche se sa che è molto vicino dal farlo.

Scesi entrambi giù dal palazzo, Gilda ormai discinta, scalza e con l'acconciatura rovinata inizia a picchiarlo, forte sul petto e piange, di un pianto liberatorio come quello del divano ma più forte.

Lui la tiene forte.

"Un uragano,viene distrugge tutto e poi scappa, va via, io voglio che tu lo smetta di essere che tu rimanga bloccata nel mio spazio, voglio che questa tempesta,diventi un mite pomeriggio di primavera, voglio che tu resti tra queste braccia, voglio che tu renda la mia vita come solo tu sapevi farlo, e soprattutto se ti sto stringendo adesso è perché voglio che tu non mi lasci mai più solo e che non mi mandi quei cazzo di bigliettini di Natale, perché nel frattempo ti sei scordata che sono ateo."

Lei si blocca, pochi secondi di silenzio.
Si guardano e ridono.

Il taxi sfreccia in questa notte, l'unica lo sanno dopo tanti anni di insoddisfazioni, felicità recise dalla mancanza di uno sguardo, di un gesto un abbraccio.

A Gilda il fatto che Fabrizio le sia così vicino non sembra vero, eppure ogni tanto si gira, lo scruta e sorride, con il modo di sorridere che ha da sempre, mordendosi il labbro superiore.

Sta cercando ricordare il nomignolo che gli dava da ragazzo, Moro, perché aveva da poco letto l'isola di Arturo, quando era estate lui aveva una carnagione molto scura ed odiava farsi chiamare così
Chi lo avrebbe detto, presentati da un amico di amici, vorrei iniziare tutto da adesso, eppure....

Eppure lui crede che lei sia bellissima, ma sa che non ci potrebbe mai essere il coinvolgimento di una volta, che quando si amavano era molto meglio di adesso che erano diventati due estranei, e avrebbe si voluto riscoprirla però quanto gli sarebbe costato?
Un cambiamento troppo repentino ad un uomo che odiava cambiare, un cambiamento che avrebbe potuto renderlo più felice, ma sarebbe stato poi veramente così?

"Una porzione di patatine per me, e un Big Mac, per il signor sconvolgi vite qua vicino."

Vestiti elegantissimi entrano verso l'una di notte nel Mac di via Torino, si siedono, parlano come se nulla si fosse interrotto, come se in quei lunghi anni non fosse accaduto proprio nulla.

Lasciano e il locale e si incamminano tra la neve,il freddo nella città ed i testimoni sono il cielo plumbeo, le luci di natale e qualche tram che di tanto in tanto passava, e loro si guardavano e si promettevano cose care e che sembravano richiamare i momenti di felicità trascorsi insieme.
Soprattuto dopo tanti anni avevano ricominciato a ridere e a pensare alle stronzate.
Prima che si avvicinino al portone di Gilda, lei gli dice che non lo inviterà a salire, perché deve alzarsi presto, lui annuisce perché sa esattamente lei cosa abbia voluto dire.
"Ci sentiamo domani, ti chiamo."
"Ci andiamo a prendere un caffè, magari poi ci vediamo nel weekend."
Risponde lei.

 Eppure sanno già che domani mattina dovranno svegliarsi presto, lui dovrà scegliere l'abito di nozze, portare il cane fuori, lei dovrà vedersi la quinta puntata e finire la serie, perché ci saranno altre serate all'insegna di saccheggio di frigorifero e visione di telefilm americani, perché i film francesi li ha già visti tutti.

 Come sanno che un giorno non tanto lontano, si ritroveranno ancora, in qualche posto, in un insolito orario, nella periferia di qualche ricordo.

Perché hanno la stessa anima.