martedì 29 gennaio 2013

Il momento in cui devi prendere un respiro profondo prima di parlare perché sai che sei così vicino a piangere.

Gerlotti - Giannini

C'era una lettera, nella buca della posta.

Mi tremavano le mani, perché dallo spiraglio trasparente, riuscivo a vedere la sua grafia, "A Christian".

Sapevo già chi fosse il mittente, Silvia.

Il modo in cui ci siamo conosciuti è stato un modo un po' strano, mi ha cercato lei, perché lei era molto intraprendente, mi era venuta a pescare in un bar, avevamo qualche amico in comune ed io la conoscevo soltanto di nome, qualche volta Alessio l'aveva nominata alle partite di calcetto.

Dopo qualche scambio di sguardi avevo capito tutto, e lo aveva capito anche lei.

"Che ne pensi di venire il prossimo weekend alla casa al lago?
Porta anche la tua ragazza, se vuoi."
Questa fu l'unica frase che mi disse, dopo avermi guardato tutta la sera.

Ovviamente non la portai.

La prima volta che misi piede in quella casa, tutto mi sembrava perfetto, il clima, il tappeto zebrato anche se stonava con l'ambiente, l'abajure sul comodino, i riflessi dell'acqua che adornavano l'esterno di una casa di una luce nuova e pulita, tutto sembrava gestito da un'armonia incontaminata, che  però avrebbe presto contaminato noi.

L'emozione più grande, fu quando nel bel mezzo della festa, mi fece segno di seguirla per posare delle bottiglie che alcuni amici avevano portato.

Un bacio silenzioso, perché così sembrano i baci che si danno di nascosto, interrotto da un sorriso e da uno sguardo complice.
 Lì forse mi ero già innamorato di lei, perché sapevo di non avere mai provato una sensazione simile.

Mai avrei pensato che in quella bellissima casa, ci avrei passato molti e altri weekend, e d'estate sarebbe stato lo scenario delle nostre notti di passione, che quel tappeto sarebbe stato il nostro letto e che lei sarebbe stata la mia amante per tre anni.

La lettera la aprì e non volevo leggere, perché sapevo già cosa ci fosse scritto, perché per due giorni non rispondeva più ai messaggi in codice, ai post it che le lasciavo o ai messaggi che le mandavo alla sua segretaria.

15 Aprile 1988
"So bene che quello che stiamo facendo non ci porterà mai a nulla, non  ci spingiamo oltre al limite a cui siamo arrivati, non odiarmi perché ti sto lasciando con una lettera, non lo faccio perché sono una vigliacca,
lo faccio semplicemente perché so che se tu mi guardassi, io non riuscirei a dirti queste parole, so che alla fine prenderei un bel respiro, prima di scoppiare in lacrime, anche se è uno dei momenti che preferisco, sai che non piango mai, non mi farebbe male piangere ogni tanto.

Non lo faccio per te, lo faccio per me, perché non lo lasci? mi diresti, perché non scappiamo insieme?
Ma dove scapperemmo?
Erano così belli quei pomeriggi, quelle notti, quelle mattinate in cui ci svegliavamo e potevamo far finta di stare insieme, dirci delle cose che ai nostri fidanzati non dicevamo mai, poterci dire tutto quello che volevamo perché ci sentivamo liberi.
Chissà a quanti convegni avrai detto di aver partecipato, dopotutto sei un medico, e conferenze su conferenze hanno potuto darti respiro dalla città per andare a rotolarti tra le mie braccia, per farti preparare il caffè, per farti sentire mio, almeno tre volte ogni due settimane.

Ad Alessio invece dicevo che volevo stare sola, lui mi credeva, non so ancora come poteva farlo, eppure ha deciso di sposarmi, forse lo fa per paura che io possa scappare, e probabilmente non ha tutti i torti, sarei quasi tentata dal farlo.

Non odiarmi perché non scelgo te, sai come sono, ci saremmo stancati l'una dell'altro, me lo dicesti quel pomeriggio mentre mi spingevi ed io ero sull'altalena, il nostro rapporto è bello perché non siamo vittime dell'abitudine, non finiremo mai per odiarci perché noi non ci apparteniamo, mi dicevi, però io so già che arrivato a questo punto della lettera, non riuscirai più a distinguere le lettere, ti si offuscherà la vista e allora deciderai di smettere di legg..."

Non ho mai finito di leggere quella lettera, perché altrimenti si sarebbe bagnata subito, non volevo rovinare il suo ultimo cimelio.

Conservavo ogni tanto i suoi capelli, in un posto ben nascosto in bagno in modo che Lara non li vedesse, non potevano essere i suoi perché Silvia è bionda, Lara invece è castana.

Mi sono sempre chiesto che espressione avesse fatto se avesse visto quel cumulo di capelli nascosti nella mattonella del bagno,quella che ogni tanto traballa un po'.

Volevo che Lara scoprisse macchie del suo rossetto, invece lei è distratta, non scopriva niente, oppure aveva troppa fiducia in me.
Non ho mai capito perché non l'ho mai lasciata, e non ne avevo voglia di farlo stasera.

Sapevo che Silvia avrebbe cambiato idea, e allora chiamai Alessio e decisi di invitarli a cena, perché lei non avrebbe potuto opporsi, perché so che Alessio non rinuncia mai alle cene a casa mia, volevo rivederla e dovevo farlo.

Alessio non rispose per diversi giorni al telefono.

Non mi invitò al suo matrimonio, allora capii tutto.
Nonostante avesse scoperto tutto non mi aveva detto niente.
Forse anche Lara ci aveva scoperti, ma non decise mai di sposarmi, mi lasciò qualche anno dopo, con un post it, no lei non era una ragazza da lettera.

Il tempo passò e vedevo le sue foto, ormai quando rivedevo non riuscivo a pensare a lei come un qualcosa che aveva fatto parte del mio passato o della mia vita, quando vedevo quelle foto dove c'ero anche io, ben nascoste, mi sembrava una presenza estranea che era in un modo o nell'altro finita nella mia vita ordinaria.

Era se come i nostri momenti migliori fossero stati cancellati, perché nessuno sapeva di noi, e ora che non ci sentivamo più era come se la nostra relazione segreta non fosse mai esistita, come se fosse stato un lungo sogno, dal quale poi ci si sveglia e ci si rende conto che è stato solo frutto della nostra mente, proprio quella sensazione in cui ti svegli, e sei profondamente deluso che ciò che è successo lo hai visto, toccato, odorato, sentito tuo e poi alla fine non è vero e durante il corso della giornata lo si dimentica.
Qualcosa però non era andato come mi miei piani perché gli anni passarono e...

Io non dimenticai mai i suoi occhi né la linea sottile delle sue labbra, il suono della voce e ogni parte del suo corpo, i buchi di venere sul fondo schiena, la cicatrice minuscola che aveva all'angolo dell'occhio,  niente di niente, perché tutti quei momenti che avevamo trascorso non erano molti e ogni volta che l'avevo vista volevo imprimerla nella mia memoria, e volevo che non uscisse nessun dettaglio di quelle giornate.


Mi resi conto che 24 anni dopo, forse avevo cominciato a dimenticare il numero dei nei che aveva sul volto, o se effettivamente avesse una voglia sulla gamba destra o sinistra.

Non mi mancò mai, perché era un'eterna presenza nella mia memoria, e no non era un'abitudine ma neanche qualcosa che non volevo che lo fosse.

Pochi giorni fa, avevo deciso di iscrivermi su facebook.

Stasera ho trovato un suo messaggio:

Silvia Infante scrive:

"Solito posto, solita ora, sono un po' invecchiata, forse mi riconoscerai, forse no, il caffè lo so ancora fare, l'amore forse, poi vediamo, abbiamo ancora tanto tempo, almeno tutto quello che ci hanno tolto in questi anni.
Ti aspetto S."

....


Il momento in cui dovetti prendere un respiro profondo prima di piangere.





sabato 19 gennaio 2013

Domenica saremo insieme

Mi hanno detto che sono usciti i risultati dell'esame.

Ho paura di andare a vedere, come sempre, eppure so che prima o poi quel cellulare squillerà e sarà qualche mio amico a dirmi il risultato ed io non saprò sopportarlo.

Metto la password, Esiti del 13 Gennaio PDF:

Matteo Bardi            INSUF

Certo che si sono sprecati, potevano scrivere non idoneo, insufficiente, EMERITOIDIOTA.

Sono stato bocciato, mi mancano due esami alla triennale, ho 24 anni.

Accendo una sigaretta che nei momenti di dispiacere ha sempre un sapore più amaro del solito, il fumo mi entra nei polmoni, lo sento e cerco di trattenerlo ancora un po' perché mi voglio fare male.

"Oh, Mattè stasera andiamo al Woods, che vuoi fa, vieni? Ci stanno le straniere, una te la porti a casa di sicuro, stanno sempre come le pazze quando vanno là."

Questo qui è il mio coinquilino, io lo odio.
"Mi hanno bocciato a statistica, mi sa che io non ci vengo al Woods stasera, non ho niente contro le straniere ma devo riuscire a chiedere a Camilla se vuole uscire."
"Ah e ti pareva oh, può essere che per il duemilacredici te lo prendi st'esame."


Intanto la neve iniziava a venire giù, Matteo è sul letto, vuole leggere perché non può pensare che adesso dovrà di nuovo rifare l'esame, legge due fumetti, si mette a pancia sotto, vede su facebook se Camilla ha scritto qualcosa oggi.

(Lui è un ragazzo molto profondo, per fortuna nessuno se ne rende conto e lascia credere tutti che sia un superficiale studente di economia fuori corso per giunta.)

"Sono innamorato di Camilla."
Sospiro...

Il problema è che la trovo meravigliosa, se ci uscissi andrei completamente in panico, non saprei cosa dire, di cosa parlarle, eppure è una tipa così interessante.

La storia è un po' complicata, perché Camilla l'ho conosciuta per caso, ma mi è subito piaciuta, si aggirava per l'università in preda ad una crisi di panico si è versata un'intera bottiglietta di acqua in testa, si è seduta e poi dopo un po' è andata in bagno a vomitare.

Io conosco lei, ma lei non conosce me più precisamente parlando.

Ha i capelli neri, occhi altrettanto neri è alta quasi quanto me, si veste troppo bene, ha una vasta platea di corteggiatori, è figa insomma e io non posso fare niente né voglio farmi notare da lei.

Così vado al Woods, senza che abbia chiesto a Camilla di uscire, perché non volevo avere due risposte
con un INSUFF in una sola giornata.

Sei insufficientemente bello, sei insufficientemente ricco, sei insufficiente, Matteo in tutto e per tutto.

In realtà mi sono fatto sempre dei complessi di inferiorità pazzeschi sugli altri, anche essendo un discreto ragazzo, moro, occhi chiari alto 1,77 peso nella media.
A me le ragazze mi vogliono sempre fare eh, non mi lamento.

Eppure mi ha pure aggiunto su facebook,ho chiesto ai miei compagni di corso, ma secondo voi se una ti aggiunge su facebook, ce lo vuole?
Perché io di ste cose non sono pratico.

Ma quelli so invidiosi e mi hanno risposto non per forza.

Ma forse è vero, parliamo sempre di cinema, musica e arte e cazzi vari, però tipo non mi ha mai messo mi piace.

"Eh, allora se non ti ha messo manco un mi piace non ci sta, no."

Ma che cazzo ne sai tu che sei un cesso cerebrolese?

Lei non mi hai mai visto da vicino, io l'ho vista in continuazione, mentre studiava in biblioteca, mentre camminava per strada oppure in qualche bar vicino l'università.
Di lei noto sempre ogni particolare del suo viso che sprigiona una grazia unica, e le sue dita affusolate mentre attorciglia i capelli e guarda attenta i libro, oppure mentre ride e beve il the.

L'ho sempre soltanto veduta nei suoi istanti più belli, non ho mai voluto fare parte della sua vita, né penso ne farò mai parte.

Infondo è bello così, non complichiamo le cose.

Entro al Woods,prendo una Belga media, almeno una birra decente, gli altri iniziano a parlare di stronzate disumane allora gioco in un angolino a Ruzzle.

Mi sento toccare una spalla mentre sto facendo l'ultima parola, dopo che ci sono tre secondi alla fine, alzo gli occhi distrattamente, li riabbasso, li rialzo...
"Matteo, sei tu?"
...
HAI PERSO  1200  / 1740

"Camilla Borzotti?"

No, vabbè ma che espressione ho in questo momento, perché sta guardando lo schermo del mio telefonino? Perché sorride come per dire, ma tu guarda sto scemo che gioca a Ruzzle la domenica sera...

"Ciao, ti ho visto da lontano, e ti ho riconosciuto, sei identico in foto."

Si beh, io non riesco a parlare ma so che se non dirò neanche una parola, nella sua memoria rimarrò impresso come quello che non ha parlato quel sabato sera al Woods o peggio ancora come lo scemo che gioca a Ruzzle in disparte mentre gli altri parlano di calcio, quindi.
Questo è il momento della mia confessione, allora prendo fiato e...

"Si, lo penso anche io Camilla, che tu sia identica a come sia in foto...
 No non è vero ti sto dicendo una cazzata, adesso che ti vedo meglio il tuo viso è molto più luminoso, ed hai un espressione che trasuda serenità e bellezza allo stato puro, gli altri non potranno mai capirlo e devo dire da una parte mi fa piacere perché mi sento un po' come quando entri in un museo, e la gente idiota dice, che bel quadro, bello.. bello e lo vedono un minuto e se ne vanno e non rimane niente loro, che un'immagine come le altre, invece io ti guardo per ore, come se avessi visto un qualcosa di unico ed irripetibile, e non passo e vedo ma ti guardo, e osservo ogni minimo particolare, perché ogni piccolo dettaglio del tuo viso, anche un'imperfezione equivale ad una ditata di un dipinto di Van Gogh, ogni minimo tuo passo è come una foglia che danza nel vento, ignara del tempo che passa, ogni tuo sorriso è una fresca ventata nel caldo pomeriggio d'estate, tu sei bellissima Camilla, nel più puro significato che la bellezza può assumere."

Potete capire adesso, che io ero alla terza pinta di birra, completamente ubriaco, mi ero sputtanato alla grande e non me ne importava, ero felice perché avevo detto la verità.

Camilla arrossì, ritornò al tavolo e tutta la serata la passò a testa bassa, sorseggiando un sidro alla mela e guardandosi le unghie.

Era bella anche mentre si guardava le unghie, ecco.

Dopo un po' decisi di uscire, un altra sigaretta.

Stava ancora nevicando, la gente camminava a fatica sui marciapiedi ghiacciati, alcuni si tiravano le palle di neve, un gatto cercava di prendere i fiocchi, deluso perché vedeva che al contatto con la zampa, i piccoli fiocchi si scioglievano.

Un po' mi stavo sciogliendo anche io, perché ero entrato finalmente in contatto con lei, e non era andata bene.
Una parte di me invece si convinceva che aveva fatto la cosa giusta, che aveva avuto le palle di dire la verità.

"Matteo, posso parlarti?"
Una voce efebica, calda e delicata aveva interrotto il flusso dei miei pensieri, la sua.

Mi prese per mano, entrammo in un posto scuro, con tanta gente, gettammo le giacche su di un divanetto e ballammo, era lei che mi teneva stretto, in quell'attimo che sapevo che sarebbe durato soltanto il tempo di una sera.

Sentivo il suo odore, il contatto delle mani e delle dita affusolate, il respiro e vidi gli occhi un po' orientali che mi stavano descrivendo le emozioni che provava ballando con me.

Tornammo a casa tardi,sfiniti dalla danza e dal freddo, eravamo completamente ubriachi, almeno io lei non so.

Mi fece vedere la sua stanza, piena di poster di Film, uno della Scala stagione 2012, una foto con lei e i modelli di Abercrombie, tante altre foto con amiche e una stampa di una frase.

"Domenica saremo insieme, cinque, sei ore, troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, per tenerci per mano, per guardarci negli occhi." Kafka.

Le presi le mani e le baciai, poi lei si addormentò.
Le guardai le scapole tutta la notte, e il modo in cui si inumidiva le labbra durante il sonno, dall'espressione provai a capire cosa stesse sognando, immaginai che sognasse il mare.

Era mattina e decisi di andarmene.
Questa domenica rimarrà per sempre nella mia memoria pensai.
Non c'è stato tempo di parlare di nulla di tutto ciò di cui parlavamo, hanno parlato i nostri corpi.
La guardai ancora, tra le nivee lenzuola che si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro.
Le scrivo un biglietto:
"Un'opera d'arte è bella Camilla, si è bella proprio perché è lì, ferma, immobile non si può possederla né si ha la volontà di farlo, non ci si può fare l'amore né tanto meno andarci al cinema o in discoteca.

Tu per me resterai sempre qualcosa di intangibile, il mio amore per te resterà sempre un amore platonico che gli altri non potranno cogliere, eppure  io ho fiducia in te e so che saprai che questa non è una lettera di uno stronzo che se ne sta andando perché si è accorto che stava facendo una cazzata e che tu non mi piaci veramente ma non riesco proprio a pensare come io possa amarti in modo diverso se non in questo, così puro e genuino, come si ama un qualcosa solo per l'amore fine a sé stesso e non ci si aspetta che 'altro faccia nulla, io ti amo per amarti e basta, forse ti amo come un'artista ama il suo quadro, è tutto."
ps: Mangi anche tu le gocciole, sarebbe stato un altro motivo per continuare a dire quanto tu sia perfetta.

La baciai sulla fronte, e le dissi Addio, lei non si svegliò ma fece un sorriso e si voltò dall'altra parte.

Qualche giorno dopo la incontrai all'università, lei sorrideva, io anche ma non ci parlammo, non si può dire che non ci parlammo e basta, ma qualunque cosa io scrivi qui non renderebbe lo scambio di parole silenziose che c'è stato in quel momento, e poi le parole hanno sempre un silenzio in cui si sono spiegate un attimo prima di essere dette.

Era stato bello condividere un attimo di infinito tra le sue braccia, lei dormì tutto il tempo quella mattina, io non potetti perché il cuore mi batteva troppo forte.



sabato 12 gennaio 2013

Ti sto aspettando a Parco Sempione

Sono solo le quattro e mezza, è l'ora del tramonto.

Vorrei che l'inverno passasse in fretta in questa fitta nebbia, vedo solo i tronchi degli alberi, sono stanca di camminare, vorrei vederti solo arrivare.

Deve essere qui, il punto in cui ci siamo incontrati.

Ti sto aspettando a Parco Sempione, in un punto dove si riesce a guardare l'arco e il castello, qui tra la nebbia e il freddo.
Non c'è nulla di peggio, credo, nel vedere gli altri che stanno bene nel momento in cui l'unico pensiero che ti fa stare male è lì accanto a te, e non se ne va.


Sono le cinque, guardo l'orologio e penso che sia difficile senza il sole trovarti tra la gente, perché non so come sei vestito, mi piace però immaginare quale giacca hai scelto per incontrarmi e quando sei così in ritardo sono felice perché ti vedo arrivare e perché posso immaginarti in tutti i modi e pensare che ti sei messo le scarpe blu.

Sono le sei, ti sto aspettando a Parco Sempione, nel punto esatto in cui si vedono i giardini di De Chirico, ogni volta che li guardo mi viene sempre una gran voglia di scavalcare, non riesco a non pensare a qualcosa dove non ci sia anche tu.

Vorrei che non esistesse nessuno al di fuori di noi, così potremmo correre, giocare a nascondino e fare l'amore sul prato, senza che nessuno ci venisse a dire che lì noi non lo possiamo fare, senza che sentissimo freddo, perché in noi ci sarebbe sempre l'estate.

Io ti prenderei la mano, ed inizierei a baciarti a scatto ogni mezz'ora, girandomi ogni tanto, per vedere se sei ancora lì, dietro di me.
Tu moriresti di freddo e mi chiederesti "Vuoi la giacca?"
Io ti chiederei di darmi il tuo corpo, perché è caldo abbastanza.

Ci ubriacheremo tra i cuscini dei bar in corso Sempione, e mangeremo fino a stare male, poi arriveremmo in un posto bello, dove si vede tutta la città, magari un grattacielo, e forse avresti voglia di farlo ancora una seconda volta e noi guarderemmo tutti e nessuno guarderebbe noi.
Sarebbe proprio bello.

Ti Aspetto a Parco Sempione, perché ho sempre un sacco di cose da dirti, ma quando ti vedrò, io già so che tu mi parlerai d'altro e io me le dimenticherò, perché quando guardo i tuoi occhi, dimentico il colore e la forma di ogni cosa.

Quando tu mi tocchi, io perdo il controllo ed ogni cosa perde la sua importanza, tutto è racchiuso in quel gesto, tutto si ferma tra le nostre braccia, e il silenzio in una città che vive solo di rumori si racchiude in uno sguardo di me e te che capiamo sempre tutto

Io e te, siamo un solo pensiero che non c'entrava niente con tutto il resto.
All'improvviso, scopro che l'unica cosa che voglio dirti è che ti adoro.

Ti sto aspettando, ormai è tardi, stanno chiudendo i cancelli del Parco Sempione, allora mi siedo qui, su questa panchina, ed intanto si sta facendo sempre più tardi ed io ancora non ti vedo in lontananza.




martedì 1 gennaio 2013

Le luci di sera, le nostre risate

Le sigarette che si fumano in compagnia hanno un sapore diverso e finiscono subito.

Mentre il collega, uno dei più boriosi e insignificanti parlava, Gilda oscillava lentamente il suo cocktail e ogni tanto faceva un tiro.

Ad un tratto si accorge che le si intravede il reggiseno di pizzo nero e  allora arrossisce e un po' di cenere cade a terra, il gesto distoglie l'attenzione di Manuel, che continua a parlare di quanto sia stata fantastica la sua festa nel Cottage nelle langhe Cuneesi.

"Un successone davvero, il catering splendido, persone altrettanto splendide."

Sei un finocchio, tutti in ufficio lo pensano, lo penso anche io e non so neanche perché ti sto ascoltando, anche se provi a nascondere la tua latente omosessualità smettila di metterti i calzini di Gallo in bellavista, non aiutano.

Eppure lei continua ad essere carina, quando sbadiglia mette la mano davanti la bocca e non guarda mai l'ora, proprio come le aveva insegnato sua mamma da bambina.

Questa patetica cena è quasi finita, adesso vorrebbe salutare tutti i suoi colleghi quelli che vede ogni giorno adesso sembrano molto più sistemati e fighi e lei con quell'abito banale, nero, scollato sulla schiena e anche un po' avanti, con dei tacchi dodici si sente estremamente fuori luogo.

Per fortuna è quasi finita, la stupida cena aziendale di metà dicembre, non si aspettava di incontrare nessuno anche perché l'unico che le interessava e che aveva appellato con la collaborazione della sua amica Ornella chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità si era portato Calendario di Max 2013.

E vabbè, continuano a disquisire Gilda e Manuel finché non vengono interrotti da Marco il quale esorta tutti a spostarti per un dopo cena a casa sua in via Montenapoleone,15.

Gilda non sa che fare, ci sono diverse opzioni quali ad esempio quelle di tornare a casa togliersi quel fastidiosissimo tacco 12, prendere la vaschetta di gelato comprata da Picard, e guardare la quinta puntata della sesta stagione di , oppure prendere  la macchina e andare.

"Prendo il cappotto."

Gilda è sotto il numero 15.
"Ma io cosa cazzo ci faccio qui?"
Sta pensando che si sente un po' una barca nel bosco tra tutti quegli uomini in giacca e cravatta che per il lavoro che fa per forza sono tutti uomini, mentre Ornella non è potuta venire per una banale mestruazione, puntuale di 15 dicembre.

"Senza buscofen, oh io non vivo, devo prendere almeno una per non contorcermi nel letto."

E va bene.

Si guarda allo specchio della macchina, una bellissima bmw serie 1, comprata ovviamente con il suo stipendio, orgogliosa perché infondo è una bella donna, un po' pretenziosa, snob ma bella.

"Non fare la cretina, scendi, non vorrai tipo fare la Bridget Jones della situazione, anche perché lei si faceva Hugh Grant con una 46 tu con una 42 non riesci a prenderti manco chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità."
Questo lo dice mentre si aggiusta la sua acconciatura, una banana che la madre le faceva prima di andare alle feste importanti, un po' di rossetto e via.

7 Piano ovviamente, l'uitmo.

C'è una musica insopportabile, una puzza di fumo uomini un po' viscidi le si avvicinano, per discutere del bilancio di fine anno, di fatture di altre stronzate che lei non vorrebbe più sentire dopo un certo orario, vorrebbe un uomo con un dolcevita che la invitasse a bere un cocktail in terrazza per discutere di film francesi, e che avesse un profumo di agrumi, fresco gli occhi verdi che la abbracciasse, non sti superpompati viscidi, che si sentono Dioscesointerra perché hanno un posto fisso, la macchina e poi se gli parli di Truffaut gli vengono in mente soltanto dei titoli di borsa.

Quindi Gilda cammina un po', si guarda attorno e la sua attenzione si sposta sul gesticolare di un uomo, abbastanza alto, spalle larghe, capelli lisci.

Lei quel gesticolare se lo ricorda bene, era per decidere se scegliere un film o l'altro, e poi dopo era seguito da uno sbuffo e da un ok guardiamo quello che vuoi tu.

Gli occhi diventano umidi,la bocca si sta seccando le mani sudano....

Le spalle,  sono le stesse di quando facevano i giochi a mare e lui la prendeva per farle fare i tuffi, ampie bellissime di chi ha fatto nuoto, si muovono armoniche sotto la giacca grigio scuro.
Lei lo ha riconosciuto, è certamente lui.

Decide di fare dei giri, cerca il cappotto, se ne vuole andare, non reggerebbe un suo sguardo in questo momento dopo una cena a base di tartine al salmone e caviale, dopo i racconti della magione estiva di Marco, dopo che Antonio non lo capisce proprio che gli uomini pelati non le piacciono.

Se lo ritrova davanti, è lui, ha uno sguardo inconfondibile, non ha mai conosciuto un uomo con uno sguardo così, la vede ma forse l'aveva già intravista perché non sembra tanto sorpreso di incontrarla o forse è apparenza lo sguardo fisso, il sorriso sornione, si avvicina ma lei si sente le gambe mancare.
"Gilda, volevo presentarti un mio carissimo amico, sai anche a lui piacciono i film francesi, si chiama..."

Si chiama... sono le ultime parole che Gilda sente, prima di cadere clamorosamente e di fare una discretissima figura di merda.

Lei sapeva benissimo il suo nome, lo aveva spesso chiamato nelle sere in cui si sentiva sola e piangeva, abbracciava il cuscino e lo chiamava sapendo che nella stanza vacua, non avrebbe mai avuto una risposta, perché lui non ci sarebbe più stato.
"Fabrizio."
Ed un sorriso inconfondibile, fu un estate a farli incontrare, era il 1997 e loro erano ignari che ne avrebbero trascorse tante altre.

Risvegli...

Non c'è imbarazzo quando poi si sveglia e se lo ritrova sul divano, a pochi metri da lui, la prima cosa che nota sono le rughe che gli sono comparse agli angoli degli occhi, quelli sono sempre dello stesso colore, neri , profondi come la pece, le labbra carnose quei denti perfetti, un po' meno bianchi di come se li ricordava, sorride.

"Dieci anni che non ci vediamo, dieci anni che non ci parliamo, e tu mi svieni così?"

Lei è confusa, non sa cosa dirgli, in realtà sarebbero tante le cose da dire in quella superficialità che ristagnava nell'area, in quei divanetti bianco avorio da diecimila euro,  sapevamo benissimo di essere in un momento catartico.

Ma a lei viene da dire soltanto una stronzata in quel momento.

"Ti ho scritto per dieci anni di fila gli auguri di Natale, perché non mi hai mai risposto?"
......

"Me li avresti fatti anche quest'anno?"

Una carezza sulla guancia destra, e già non sapeva più come rispondergli, le parole le si bloccavano in gola, tante emozioni, parlare dei loro incontri, lei lo aveva visto solo due volte, una per strada a Pompei mentre attraversava, uno scambio di sguardi e basta, e poi anni dopo, forse due anni fa in libreria lui era con una ragazza, le diceva qualcosa all'orecchio abbracciandola lei era con Luca, non le sembrava il caso, eppure con tanta naturalezza, aveva cercato di cercare un approccio, uno scambio di parole, con dei banalissimi auguri di Natale, che potevano anche risultare fastidiosi.

"Si,certo."

"Non ti ho mai risposto perché sapevo, come è tua consuetudine fare che saresti entrata nella mia vita, come un uragano, senza chiedermi il permesso e se ne fossi uscita avresti portato soltanto catastrofi, o mi sbaglio?"

Il suo modo così posato di parlare, gli occhi gli si stavano inumidendo, perché molte volte si erano seduti così sul divano di casa sua, prima di una tazza di cioccolata calda o di un caffè.

Le pause in cui parlavano di ogni cosa prima di riprendere quello che stavano facendo, adesso a 34 anni si ritrovavano su un salotto, entrambi molto imbarazzati perché venivano da una lite furibonda avvenuta 12/12 anni e mezzo prima.

Non ti sopporto più, non è un atteggiamento da persona matura questo,non voglio più stare con te, non sono sicura di amarti ancora. Lei.

Non voglio più stare con te, sei una tale palla al piede tu e le tue malinconie di stocazzo, sei una persona triste,vattene non ti fare più vedere, e poi io non ti amo più, forse. Lui.

I gesti si inciampavano addosso, non facevano  più l'amore, lei la sera leggeva e lui si trovava qualcosa da fare, e non potevano, non riuscivano a trovare dei ritagli di intimità, si erano persi avendosi l'uno accanto all'altra e tutto finiva in terribili liti.

Una sera lei sen'è andata, lo ha lasciato solo per molti anni,prima di ricomparire una sera davanti la sua porta, lui gliel'ha chiusa in faccia, chiedendole di non cercarlo più.

L'anno dopo per dieci anni conseguitivi lei ha cercato sempre un contatto, mandando cartoline e auguri di Natale, cercandolo per dei messaggi teneri, con dei testi di canzoni, con parole sue molto belle e toccanti ma lui non l'ha mai più cercata.

"Ti ricordo, che ho provato a spiegarmi più volte le mie motivazioni ma tu mi hai sempre attaccato il telefono in faccia e non hai mai provato a volermi vedere."

Adesso gli tocca la mano.

"Sempre la questione dell'uragano, mi avresti devastato un'altra volta, e poi avresti detto mene vado ciao, perché tu sei così,ho imparato a conoscerti bene in questi anni di assenza, credimi."

Adesso i volti erano molto vicini, lui aveva voglia di abbracciarla e lei anche.

Quel momento di forte tensione fu interrotto da un pianto liberatorio, le gocce nere, dovute al fatto che il trucco si stava sciogliendo caddero sulla generosa scollatura e poi sul divano bianco, lui la strinse e riconobbe la schiena, l'odore i gesti di una volta, e tutto fu avvolto da un mantello di emozione, alla quale nessuno dei due poteva sfuggire.

"Non importa, Fabrizio, non importa quanto siamo stati lontani, se ci siamo pensati o meno se siamo stati nella stessa città, se qualche volta ci siamo traditi oppure se ci siamo sentiti in grado di farcela da soli se ci sono state le incomprensioni.
Chi è destinato ad amarsi si incontra sempre in qualche modo, in ogni luogo, in ogni giorno, ogni ora del ricordo, nei sogni che svaniscono al mattino, nell'anima."

Fabrizio la bacia, e ricorda quei baci distratti che le rubava, il sapore che aveva. La vuole.
Lei non sa cosa sta succedendo è ancora frastornata, i cocktail, il suo odore, il fatto che sia svenuta.
Ad un tratto si blocca, forse prende coscienza anche lui del gesto che ha appena compiuto.

"Sono fidanzato, tra qualche mese mi sposo."

Iote-Milano di notte.

Mi alzo lentamente dal divano, barcollo, voglio tornare a casa, voglio mettermi sotto le coperte e non ci voglio pensare perché adesso sto per ricominciare a piangere ma devo trattenermi, è così che fa per molti anni lo ha fatto, rovinerà sempre tutto e non ci capiremo mai, perché mi fanno così male i piedi?

Adesso lascio che si sposi, che viva la sua vita felice, lontano da me.

Lui un po' la insegue ma senza dare nell'occhio la folla lo frena, continua a camminare non ci vuole pensare che lei adesso se ne andrà senza avergli lasciato un numero, un altro bacio, non vuole perderla per l'ennesima volta, anche se sa che è molto vicino dal farlo.

Scesi entrambi giù dal palazzo, Gilda ormai discinta, scalza e con l'acconciatura rovinata inizia a picchiarlo, forte sul petto e piange, di un pianto liberatorio come quello del divano ma più forte.

Lui la tiene forte.

"Un uragano,viene distrugge tutto e poi scappa, va via, io voglio che tu lo smetta di essere che tu rimanga bloccata nel mio spazio, voglio che questa tempesta,diventi un mite pomeriggio di primavera, voglio che tu resti tra queste braccia, voglio che tu renda la mia vita come solo tu sapevi farlo, e soprattutto se ti sto stringendo adesso è perché voglio che tu non mi lasci mai più solo e che non mi mandi quei cazzo di bigliettini di Natale, perché nel frattempo ti sei scordata che sono ateo."

Lei si blocca, pochi secondi di silenzio.
Si guardano e ridono.

Il taxi sfreccia in questa notte, l'unica lo sanno dopo tanti anni di insoddisfazioni, felicità recise dalla mancanza di uno sguardo, di un gesto un abbraccio.

A Gilda il fatto che Fabrizio le sia così vicino non sembra vero, eppure ogni tanto si gira, lo scruta e sorride, con il modo di sorridere che ha da sempre, mordendosi il labbro superiore.

Sta cercando ricordare il nomignolo che gli dava da ragazzo, Moro, perché aveva da poco letto l'isola di Arturo, quando era estate lui aveva una carnagione molto scura ed odiava farsi chiamare così
Chi lo avrebbe detto, presentati da un amico di amici, vorrei iniziare tutto da adesso, eppure....

Eppure lui crede che lei sia bellissima, ma sa che non ci potrebbe mai essere il coinvolgimento di una volta, che quando si amavano era molto meglio di adesso che erano diventati due estranei, e avrebbe si voluto riscoprirla però quanto gli sarebbe costato?
Un cambiamento troppo repentino ad un uomo che odiava cambiare, un cambiamento che avrebbe potuto renderlo più felice, ma sarebbe stato poi veramente così?

"Una porzione di patatine per me, e un Big Mac, per il signor sconvolgi vite qua vicino."

Vestiti elegantissimi entrano verso l'una di notte nel Mac di via Torino, si siedono, parlano come se nulla si fosse interrotto, come se in quei lunghi anni non fosse accaduto proprio nulla.

Lasciano e il locale e si incamminano tra la neve,il freddo nella città ed i testimoni sono il cielo plumbeo, le luci di natale e qualche tram che di tanto in tanto passava, e loro si guardavano e si promettevano cose care e che sembravano richiamare i momenti di felicità trascorsi insieme.
Soprattuto dopo tanti anni avevano ricominciato a ridere e a pensare alle stronzate.
Prima che si avvicinino al portone di Gilda, lei gli dice che non lo inviterà a salire, perché deve alzarsi presto, lui annuisce perché sa esattamente lei cosa abbia voluto dire.
"Ci sentiamo domani, ti chiamo."
"Ci andiamo a prendere un caffè, magari poi ci vediamo nel weekend."
Risponde lei.

 Eppure sanno già che domani mattina dovranno svegliarsi presto, lui dovrà scegliere l'abito di nozze, portare il cane fuori, lei dovrà vedersi la quinta puntata e finire la serie, perché ci saranno altre serate all'insegna di saccheggio di frigorifero e visione di telefilm americani, perché i film francesi li ha già visti tutti.

 Come sanno che un giorno non tanto lontano, si ritroveranno ancora, in qualche posto, in un insolito orario, nella periferia di qualche ricordo.

Perché hanno la stessa anima.