sabato 17 settembre 2016

L'ultima volta che la vidi

La prima volta che la vidi pensai che mi incuriosiva il modo in cui beveva.

Sembrava che non appoggiasse le labbra al bicchiere e chiudeva gli occhi, come se quello che stesse bevendo fosse stato a lungo agognato o come se avesse appena fatto una corsa estenuante.
Mi incuriosii perché era lo stesso modo in cui beveva mia madre, poco prima che la mattina prima di uscire presto mi accompagnava a scuola, prendeva frettolosamente una spremuta chiudendo gli occhi e subito correva verso la porta aspetto che arrivassi con lo zaino in spalle.
Forse per questo mi sentii subito incondizionatamente legato a quella persona che conoscevo da non appena dieci minuti.

Nadine, non aveva detto il suo nome ma Susanna poco prima di venire all'appuntamento mi aveva detto che avrebbe portato la sua nuova collega e che si chiamava Nadine.

Avevo appuntamento con Susanna, non con Nadine e in altre circostanze la presenza di un'estranea mi avrebbe infastidito, soprattutto perché  mi dava il nervoso pensare che gli altri vedessero che io avessi mantenuto un rapporto di amicizia con la mia ex, perché di solito succede così quando non c'è stato amore, e gli altri vi guardano come se provassero compassione e tenerezza per qualcosa che credevamo di aver provato ma che non c'era mai stato e forse era vero che non ci eravamo mai amati e probabilmente anche Nadine pensava lo stesso, ma la vidi come un'intrusa semplice e deliziosa.

Passeggiammo a lungo nel cimitero Monumentale di Milano, lei sembrava essere affascinata dalle tombe, mi indicava i loculi e diceva: " Lo vedi, ogni loculo è diverso dall'altro, lì si è accumulata della polvere , lì invece no, ci sono delle piccole crepe mentre in quell'affianco nessuna, lì ci sono dei fiori che stanno appassendo quegli altri invece vicino sono appena stati comprati e messi lì, è facile essere affascinati dalla  morte quando non se se n'è ancora subita nessuna."

Le tombe mi davano un senso di solennità e di protezione, ed era molto simile alla sensazione che avevo io guardandola, mentre cercava i posti dove erano sepolte persone celebri.
Ipotizzavo una futura relazione con lei e  non avevo quel senso di paura e di soffocamento che mi assaliva ogni volta, mi sentivo emozionato e invaso da una nuova sensazione che non avevo mai provato prima.

Andammo a casa sua e le pareti erano prive di quadri, o di qualsiasi distrazioni, erano bianche e gli armadi erano quasi vuoti, non c'era nessuna foto appesa al muro né tanto meno quelle tendine odiose colorate nulla che potesse sembrare superfluo, soltanto libri sugli scaffali, antichissimi.
Volevo che ci fossimo solo io e lei in quella stanza, avrei voluto sentirla per ora raccontare degli aneddoti sulla sua infanzia o sulla sua vita per cercare ancora delle similitudini con la mia, per convincermi maggiormente di quanto fosse perfetta per me e di quanto fossimo inevitabilmente destinati.

Per la prima volta avevo conosciuto una persona del sesso opposto adatta a me, e lo avevo capito anche dal luogo in cui viveva, capii anche che le mie abitudini frugali e il mio stile di vita monacale non solo le sarebbero parsi incomprensibili ma si sarebbero adattati perfettamente al suo modo di essere.

Nei giorni e nelle notti a seguire iniziai a sognarla, immaginavo tutte le sensazioni che la sua vicinanza avrebbe creato in me, e ciò mi creava un insolito batticuore.
Non riuscivo a spiegarmi come potevo dormire affianco alla mia fidanzata immaginando lei, fare l'amore con lei ed avere d'avanti l'espressione di Nadine  tra i cuscini e le lenzuola, sembravo sotto una specie di incantesimo.
 Al mattino mi svegliavo e pensavo di preparare il caffè per lei e di giorno il suo viso spigoloso ma così rassicurante  continuava a balenarmi davanti, come una costante di cui sapevo che non avrei potuto fare a meno.
 Poco prima di addormentarmi mi chiedevo cosa stesse facendo e mi faceva sorridere pensarla in quella stanza spoglia, tra i suoi libri antichi a scartabellare antichi manoscritti, mentre si aggiustava gli occhiali incurante della stanchezza e del sonno incombenti.

Riuscì a rubare il suo numero dalla rubrica di Susanna, e allora la telefonai, e sentire la sua voce mi infuse quiete ma anche un grande senso di impotenza.

Durante la breve telefonata riuscì a mantenere un tono leggero, in modo che lei non potesse percepire  l'enorme senso di estasi che provocava in me l'azione del semplice parlarle.
Non riuscì a dirle di vederci, ma le dissi semplicemente che mi aveva fatto piacere conoscerla e speravo mi capisse e  che ricambiasse
Lei sembrava incuriosita ma rimase in quell'atteggiamento di superiorità e freddezza che non faceva altro che muovere  ancora di più il desiderio di incontrarla.
Allora la sera decisi di scriverle una lettera:

"Nadine,  ti scrivo per dirti che un giorno vorrò di nuovo parlarti, oppure mi basterà tacere davanti a te . Sarà per me una gioia  aprire un finestra e vedere dietro i tuoi occhi, anche se breve, quell'incontro domenica scorsa, ha provocato in me la voglia di camminarci dentro, di conoscerne a memoria i pigmenti e il loro variare a seconda delle stagioni, di saperci leggere tutto ciò che vedi e di prevedere quello che penserai.
Ti ringrazio ancora per essere venuta lì quel pomeriggio per non aver scelto di restare a casa a guardare la tua serie tv preferita, di non andare al centro commerciale o al supermercato, ti ringrazio perché sei venuta con Susanna all'appuntamento e per essere stata quella che sei,  per la giusta distanza del tuo calore, perché so che è lo stesso che hai percepito vicino a me. Perché ti chiami Nadine che significa speranza, ed è quella che hai portato inconsapevolmente nella mia vita"

Alle speranze ci si può credere oppure no, si può scegliere ma nessuno può fare niente di fronte all'evidenza.
Le promesse, le illusioni e le speranze sono affari umani e ci rendono imperfetti, quel giorno mi arresi all'evidenza di essermi innamorato e lo ero in un modo incompatibile con le mezze misure, forse lo percepii con improvvisa chiarezza quel pomeriggio mentre la guardavo o mentre camminavo da solo, sulla strada del ritorno e pensai a tutte le volte che l'avevo conosciuta prima di incontrarla finalmente in quel caffè.
Il suo modo di bere mi risultava così familiare, i suoi occhi il modo in cui guardava tutto ciò che la circondava, persino le sue caviglie così sottili che sembravano che ad ogni passo potessero cedere sembravano che mi ricordassero qualcosa di lontano, di già vissuto e dimenticato, era come se l'avessi conosciuta in un altro mondo, in un altro tempo ed è forse la sensazione più comune che provano quelli che si innamorano.

La amo in un modo che non mi lascia alternative, a tutti è successo almeno una volta, ma a me non era ancora accaduto.
Prendo atto di questo amore o la perderò per il resto dei miei giorni, perché non può esistere un compromesso.

La rienventerò con altri volti, con altri nomi per non pensare di aver peso l'unica persona al mondo che mi tenesse vivo persino dentro un cimitero,  per non rendermi conto di aver trovato la cosa che evitavo da più di trent'anni della mia vita: la sensazione che mi importasse per la prima volta di qualcuno che non ero io.
Nel caso in cui lei non mi amasse penserò in eterno alla felicità e quella speranza che mi aveva dato in quell'istante, anche solo standomi nei pressi.





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