martedì 13 dicembre 2016

Lettera a uno sconosciuto

La sera torni a casa stanco e mi trovi in cucina a preparare la cena, posi la giacca frettolosamente facendola scivolare dall'attaccapanni, senti allora le mie urla provenire dalla cucina: "Posa bene la giacca".


Torni indietro, la sistemi e corri in cucina, coprendomi gli occhi, mi baci poi sul neo dietro al collo, sì, proprio quello il tuo preferito, poi mi giri e mi annusi e solo dopo aver strofinato con cura la tua guancia destra alla mia sinistra mi dici, così per farmi innervosire" Ed anche oggi non mi sei per nulla mancata".


Nelle sere d'estate usciamo sempre durante la settimana perché a Milano escono tutti e da fuori io e te sembriamo anche molto diversi: 
tu forte, tu determinato, sempre svelto a passo felpato, tu macchina da guerra.

Io distratta, io sognatrice, io con la testa altrove, il punto di contatto è la nostra sensibilità, la potente fragilità con cui stiamo nel mondo. 


E non posso che esserti grata, no? Se non ti avessi con me sarei dispersa in qualche galassia lontana, in balia di venti solari e sommersa tra le mie distrazioni e i miei pensieri, per fortuna ci sei tu che mi prendi per mano e mi riporti a casa, nelle sere in cui si beve troppo vino, per fortuna ci sei tu che metti in ordine nella stanza mi metti il pigiama al rovescio perché sai quanto odio sistemarlo di mattina e allora me lo ritrovo togliendolo, nel verso giusto e cerchi di farmi addormentare, raccontandomi quella storia della ragazza che decide di scegliere il mare alla terra che mi raccontava mia madre e ti ricordi di mettere la sveglia, si esatto le 07:14 non un minuto in più né uno in meno, sai quanto io odi la precisione dei gesti e degli orari, il 14 va benissimo.


La mattina sei la bomba che risveglia tutto il quartiere, sei il terremoto che scuote le faglie, sei l'infinita dolcezza della parola buona sussurrata con discrezione, assieme alla frase "il caffè è pronto".
Sei l'intimità sorprendente, sei quel sapone che lava via tutto, appena entri nella doccia e senti freddo, ti si scioglie nelle mie mani quando la tristezza preme e lavi via anche quella, la mia malinconia perenne, sei la destinazione di ogni parola buona detta prima di augurare buona giornata, amore mio.


E io? Beh, cosa potrei fare con uno come te?
Ti dedicherei una poesia al giorno, pensa che per emozionarmi mi basta guardarti mentre cambi canale, tu invece sei meno esplicito, le tue poesie non vengono scritte ma rivelate, parlano gli occhi quando ti commuovi guardando "love story", parlano le dita quando mi suoni Debussy al pianoforte, parlano le parole non pronunciate. 

Sei un uomo adulto, non hai più tempo per queste cose, sai quello che vuoi, io sono un'iniezione di letteratura imprevedibile, una ragazza perbene che ogni sera ti alleggerisce da ansie e paure. 


E le notti di inverno quando hai i piedi e le mani fredde, tremi e mostri un graffio sul cuore io sono lì che ascolto , ti riscaldo e curo.
Non mi troverai mai distratta come al solito, non mi troverai mai brutale, anche le macchine da guerra ogni tanto piangono e io sono pronta ad asciugare tutta quella bella ferraglia che porti addosso.  Te lo ricordi vero?
Il punto di contatto è un punto in cui tu riesci a riconoscerti in me, il nostro essere fragili soli ma tanto forti insieme. 


Sembriamo davvero perfetti insieme io e te.
Solo c'è un piccolo problema, che tu in questo momento non esisti ancora, ma è bello immaginarti e scriverti a mia volta parole immaginarie, da sognatrice quale sono, è bello fare dediche a persone che non esistono, sembrano senza senso, invece il senso cel'hanno e come:
Mi piace inventarti, e con stupore mi entusiasmerà scoprire, svoltato l'angolo tra via Scaldasole e Corso di porta ticinese, in un mattino, un po' freddo di aprile, di vedere quel cappotto, lo stesso che scivola dal mio attaccapanni ogni sera, di scorgere quel passo felpato, mi sembrerà di intravedere nella fessura tra un bottone e l'altro, quel tuo cuore un po' graffiato.
E credimi, sarà davvero una gioia immensa credere di averti finalmente trovato.

5 commenti:

  1. Playlist.


    Chissà perché piangono poi, le macchine da guerra.
    Per quanto si sforzasse di afferrare tutta quella contraddizione che coglieva nel vedere quelle lacrime così calde scendere su un viso così freddo e impassibile, non riusciva davvero a capire a fondo. Sembrava sempre come se fossero una parte estranea di lui, attaccate lì come dei post-it di acqua e sale.
    Ma lei non osava mai chiederlo, questo no: perché nel suo cercare di comprendere il mondo con le sue millemila domande non risultava mai invadente, perché aveva quel raro dono di saper comprendere i momenti giusti e saper sentire gli stati d'animo altrui. Non insisteva.
    Sapeva leggere il silenzio e lo rispettava, e se si accorgeva di essersi spinta troppo oltre se ne stava li con lo sguardo basso, pieno di quel misto di timidezza e imbarazzo tutto suo che la rendeva così dolce e impacciata; ma nel frattempo dietro la sua pelle il suo universo si era già messo in moto e stava vorticosamente cercando di entrare in sintonia con quello dell'altra persona, nel tentativo di trovare da sé quella risposta non data.
    Non riusciva a farne a meno, doveva assolutamente dipingerla, quella risposta, perché l'indifferenza non era cosa sua.

    Dal canto suo, lui sapeva precisamente quello che accadeva dietro alla profondità di quegli occhi curiosi in quei lunghi momenti di silenzio, perché il suo talento era invece fuori da ogni dubbio quello dell'empatia; ed era un talento come una maledizione, perché quando riesci a comprendere e a vestire il dolore degli altri in maniera così vivida sei destinato a soffrire sempre: se arrivi primo non celebri la vittoria perché pensi alle speranze distrutte di chi è arrivato dopo di te, mentre se sei arrivato dopo tu, beh, sei arrivato dopo tu.

    E niente, la realtà era che lui se ne stava lì, nei suoi silenzi, ad aspettare proprio che qualcuno li rompesse, ma solo per rivelare le verità che lui cercava di celare così attentamente.
    Ma quel momento non arrivava mai, mai aveva incontrato qualcuno che lo avesse stupito entrando con perfetta armonia nel dolore che si portava appresso e palesando un incredibile intesa col suo modo di sentire le cose del mondo; persino quando gli sembrava fosse accaduto si era poi rivelata un'illusione.
    Non che non avesse provato ad arrendersi al fatto che il problema stesse proprio in quella maniera così arrogante di portare tutte quelle maschere che tenevano lontani gli altri, provando poi a mostrarsi con sincerità alla luce del sole: ma non era cambiato nulla, aveva anzi realizzato che quelle maschere non erano meccanismi di difesa per impedire agli altri di entrare, ma erano manifestazioni del fatto che al mondo siamo sette miliardi di persone e non c'era motivo di farsi vedere da tutti.
    Per quanto non vi trovava niente di sbagliato la superficialità di alcune persone non gli andava proprio a genio, lui voleva provare cose complesse e amplificate.

    E quindi se ne stava chiuso dentro la sala delle caldaie, in silenzio, a sparire dal mondo come gli piaceva fare di tanto in tanto, sdraiato sul letto a fissare il soffitto.
    Ad aspettare.

    Credo lo avesse realizzato già da tempo che la persona che stava aspettando non dovesse entrare proprio in un bel niente, forse perché la verità era che molto semplicemente lei era sicuramente già lì dentro, nascosta da qualche parte proprio come lui.
    Ma quando sei concentrato sulla porta, sulle voci e le parole che vengono da fuori non ti rendi conto di quello che succede intorno a te.

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    1. Cosa cambierebbe? Sono convinto che in questi giorni sia stato chi tu volevi io fossi per te; non so se sia possibile davvero conoscersi senza essersi mai davvero conosciuti, mai incontrati..mi piace illudermi, ogni tanto.

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Ecco perché quel disperato bisogno di silenzio.
    I silenzi non sono vuoti da riempire, i silenzi sono già pieni, pieni di un sacco di cose, pieni di sofferenza e di dolore, pieni della fiducia riposta nelle persone e della volontà di continuare fermamente a credere in loro nonostante le millemila tragedie e delusioni umane affrontate, pieni della voglia di scorgere bellezza ed entusiasmo proprio in quelle situazioni in cui bisognerebbe mettere mille mani avanti e invece ci si mette la stessa semplicità e dedizione che si potrebbe avere nell'ingenuità della prima volta, Fireproof, che tanto al massimo fa male, pieni della voglia di prendersi cura di qualcun altro.
    Ti trovi a piangere di gioia mentre sorridi, in quei momenti, senza proferire parola; in silenzio porti le tue croci con gentilezza, per non farne carico a lei, della quale ti senti così responsabile, perché sai che non sono più importanti delle sue; e in quell'intesa non pronunciata la verità delle tue lacrime calde che scendono su un viso così freddo e impassibile sono il modo così intimo che hai di dimostrare, mentre vai determinato, sempre svelto a passo felpato, che lei per te sarà sempre al primo posto.

    "Forse si condivide solo una superficie su cui sdraiare i propri dolori - pensò, risistemando la cuffia nell'orecchio sinistro mentre se ne stava appoggiato accanto alla cler col murales di De André tra il 96 e il 98 del Corso - forse pensare di appartenere allo stesso posto da cui proviene l'altro è una malinconica e irrealizzabile speranza che se Eleanor Rigby leggesse sta roba pesantissima mi farebbe raccogliere riso per l'eternità a lato di qualche autostrada piemontese con la sola compagnia di una maglia bianconera (e sono certo che persino Dante si rifiutò di mettere per iscritto tale enorme punizione..).
    'No one ever knows or loves another'..ecco, amo questo pezzo, arriva proprio al momento giusto. Veste la riflessione."

    Il dolore non lo dimentichi, la gioia neppure. Ma non li puoi davvero spiegare con le parole, forse perché le parole non rendono giustizia a quei pensieri.
    Forse perché non esiste per davvero modo di spiegare una rondine su una spalla, su un muretto del parco, in un pomeriggio di primavera.
    Se esiste, esiste in quei silenzi.
    Esiste nella possibilità di trovare qualcuno in una sala delle caldaie, tenendosi la mano su un letto ad aprile.

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