martedì 1 gennaio 2013

Le luci di sera, le nostre risate

Le sigarette che si fumano in compagnia hanno un sapore diverso e finiscono subito.

Mentre il collega, uno dei più boriosi e insignificanti parlava, Gilda oscillava lentamente il suo cocktail e ogni tanto faceva un tiro.

Ad un tratto si accorge che le si intravede il reggiseno di pizzo nero e  allora arrossisce e un po' di cenere cade a terra, il gesto distoglie l'attenzione di Manuel, che continua a parlare di quanto sia stata fantastica la sua festa nel Cottage nelle langhe Cuneesi.

"Un successone davvero, il catering splendido, persone altrettanto splendide."

Sei un finocchio, tutti in ufficio lo pensano, lo penso anche io e non so neanche perché ti sto ascoltando, anche se provi a nascondere la tua latente omosessualità smettila di metterti i calzini di Gallo in bellavista, non aiutano.

Eppure lei continua ad essere carina, quando sbadiglia mette la mano davanti la bocca e non guarda mai l'ora, proprio come le aveva insegnato sua mamma da bambina.

Questa patetica cena è quasi finita, adesso vorrebbe salutare tutti i suoi colleghi quelli che vede ogni giorno adesso sembrano molto più sistemati e fighi e lei con quell'abito banale, nero, scollato sulla schiena e anche un po' avanti, con dei tacchi dodici si sente estremamente fuori luogo.

Per fortuna è quasi finita, la stupida cena aziendale di metà dicembre, non si aspettava di incontrare nessuno anche perché l'unico che le interessava e che aveva appellato con la collaborazione della sua amica Ornella chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità si era portato Calendario di Max 2013.

E vabbè, continuano a disquisire Gilda e Manuel finché non vengono interrotti da Marco il quale esorta tutti a spostarti per un dopo cena a casa sua in via Montenapoleone,15.

Gilda non sa che fare, ci sono diverse opzioni quali ad esempio quelle di tornare a casa togliersi quel fastidiosissimo tacco 12, prendere la vaschetta di gelato comprata da Picard, e guardare la quinta puntata della sesta stagione di , oppure prendere  la macchina e andare.

"Prendo il cappotto."

Gilda è sotto il numero 15.
"Ma io cosa cazzo ci faccio qui?"
Sta pensando che si sente un po' una barca nel bosco tra tutti quegli uomini in giacca e cravatta che per il lavoro che fa per forza sono tutti uomini, mentre Ornella non è potuta venire per una banale mestruazione, puntuale di 15 dicembre.

"Senza buscofen, oh io non vivo, devo prendere almeno una per non contorcermi nel letto."

E va bene.

Si guarda allo specchio della macchina, una bellissima bmw serie 1, comprata ovviamente con il suo stipendio, orgogliosa perché infondo è una bella donna, un po' pretenziosa, snob ma bella.

"Non fare la cretina, scendi, non vorrai tipo fare la Bridget Jones della situazione, anche perché lei si faceva Hugh Grant con una 46 tu con una 42 non riesci a prenderti manco chiappadoro2012 dell'ufficio contabilità."
Questo lo dice mentre si aggiusta la sua acconciatura, una banana che la madre le faceva prima di andare alle feste importanti, un po' di rossetto e via.

7 Piano ovviamente, l'uitmo.

C'è una musica insopportabile, una puzza di fumo uomini un po' viscidi le si avvicinano, per discutere del bilancio di fine anno, di fatture di altre stronzate che lei non vorrebbe più sentire dopo un certo orario, vorrebbe un uomo con un dolcevita che la invitasse a bere un cocktail in terrazza per discutere di film francesi, e che avesse un profumo di agrumi, fresco gli occhi verdi che la abbracciasse, non sti superpompati viscidi, che si sentono Dioscesointerra perché hanno un posto fisso, la macchina e poi se gli parli di Truffaut gli vengono in mente soltanto dei titoli di borsa.

Quindi Gilda cammina un po', si guarda attorno e la sua attenzione si sposta sul gesticolare di un uomo, abbastanza alto, spalle larghe, capelli lisci.

Lei quel gesticolare se lo ricorda bene, era per decidere se scegliere un film o l'altro, e poi dopo era seguito da uno sbuffo e da un ok guardiamo quello che vuoi tu.

Gli occhi diventano umidi,la bocca si sta seccando le mani sudano....

Le spalle,  sono le stesse di quando facevano i giochi a mare e lui la prendeva per farle fare i tuffi, ampie bellissime di chi ha fatto nuoto, si muovono armoniche sotto la giacca grigio scuro.
Lei lo ha riconosciuto, è certamente lui.

Decide di fare dei giri, cerca il cappotto, se ne vuole andare, non reggerebbe un suo sguardo in questo momento dopo una cena a base di tartine al salmone e caviale, dopo i racconti della magione estiva di Marco, dopo che Antonio non lo capisce proprio che gli uomini pelati non le piacciono.

Se lo ritrova davanti, è lui, ha uno sguardo inconfondibile, non ha mai conosciuto un uomo con uno sguardo così, la vede ma forse l'aveva già intravista perché non sembra tanto sorpreso di incontrarla o forse è apparenza lo sguardo fisso, il sorriso sornione, si avvicina ma lei si sente le gambe mancare.
"Gilda, volevo presentarti un mio carissimo amico, sai anche a lui piacciono i film francesi, si chiama..."

Si chiama... sono le ultime parole che Gilda sente, prima di cadere clamorosamente e di fare una discretissima figura di merda.

Lei sapeva benissimo il suo nome, lo aveva spesso chiamato nelle sere in cui si sentiva sola e piangeva, abbracciava il cuscino e lo chiamava sapendo che nella stanza vacua, non avrebbe mai avuto una risposta, perché lui non ci sarebbe più stato.
"Fabrizio."
Ed un sorriso inconfondibile, fu un estate a farli incontrare, era il 1997 e loro erano ignari che ne avrebbero trascorse tante altre.

Risvegli...

Non c'è imbarazzo quando poi si sveglia e se lo ritrova sul divano, a pochi metri da lui, la prima cosa che nota sono le rughe che gli sono comparse agli angoli degli occhi, quelli sono sempre dello stesso colore, neri , profondi come la pece, le labbra carnose quei denti perfetti, un po' meno bianchi di come se li ricordava, sorride.

"Dieci anni che non ci vediamo, dieci anni che non ci parliamo, e tu mi svieni così?"

Lei è confusa, non sa cosa dirgli, in realtà sarebbero tante le cose da dire in quella superficialità che ristagnava nell'area, in quei divanetti bianco avorio da diecimila euro,  sapevamo benissimo di essere in un momento catartico.

Ma a lei viene da dire soltanto una stronzata in quel momento.

"Ti ho scritto per dieci anni di fila gli auguri di Natale, perché non mi hai mai risposto?"
......

"Me li avresti fatti anche quest'anno?"

Una carezza sulla guancia destra, e già non sapeva più come rispondergli, le parole le si bloccavano in gola, tante emozioni, parlare dei loro incontri, lei lo aveva visto solo due volte, una per strada a Pompei mentre attraversava, uno scambio di sguardi e basta, e poi anni dopo, forse due anni fa in libreria lui era con una ragazza, le diceva qualcosa all'orecchio abbracciandola lei era con Luca, non le sembrava il caso, eppure con tanta naturalezza, aveva cercato di cercare un approccio, uno scambio di parole, con dei banalissimi auguri di Natale, che potevano anche risultare fastidiosi.

"Si,certo."

"Non ti ho mai risposto perché sapevo, come è tua consuetudine fare che saresti entrata nella mia vita, come un uragano, senza chiedermi il permesso e se ne fossi uscita avresti portato soltanto catastrofi, o mi sbaglio?"

Il suo modo così posato di parlare, gli occhi gli si stavano inumidendo, perché molte volte si erano seduti così sul divano di casa sua, prima di una tazza di cioccolata calda o di un caffè.

Le pause in cui parlavano di ogni cosa prima di riprendere quello che stavano facendo, adesso a 34 anni si ritrovavano su un salotto, entrambi molto imbarazzati perché venivano da una lite furibonda avvenuta 12/12 anni e mezzo prima.

Non ti sopporto più, non è un atteggiamento da persona matura questo,non voglio più stare con te, non sono sicura di amarti ancora. Lei.

Non voglio più stare con te, sei una tale palla al piede tu e le tue malinconie di stocazzo, sei una persona triste,vattene non ti fare più vedere, e poi io non ti amo più, forse. Lui.

I gesti si inciampavano addosso, non facevano  più l'amore, lei la sera leggeva e lui si trovava qualcosa da fare, e non potevano, non riuscivano a trovare dei ritagli di intimità, si erano persi avendosi l'uno accanto all'altra e tutto finiva in terribili liti.

Una sera lei sen'è andata, lo ha lasciato solo per molti anni,prima di ricomparire una sera davanti la sua porta, lui gliel'ha chiusa in faccia, chiedendole di non cercarlo più.

L'anno dopo per dieci anni conseguitivi lei ha cercato sempre un contatto, mandando cartoline e auguri di Natale, cercandolo per dei messaggi teneri, con dei testi di canzoni, con parole sue molto belle e toccanti ma lui non l'ha mai più cercata.

"Ti ricordo, che ho provato a spiegarmi più volte le mie motivazioni ma tu mi hai sempre attaccato il telefono in faccia e non hai mai provato a volermi vedere."

Adesso gli tocca la mano.

"Sempre la questione dell'uragano, mi avresti devastato un'altra volta, e poi avresti detto mene vado ciao, perché tu sei così,ho imparato a conoscerti bene in questi anni di assenza, credimi."

Adesso i volti erano molto vicini, lui aveva voglia di abbracciarla e lei anche.

Quel momento di forte tensione fu interrotto da un pianto liberatorio, le gocce nere, dovute al fatto che il trucco si stava sciogliendo caddero sulla generosa scollatura e poi sul divano bianco, lui la strinse e riconobbe la schiena, l'odore i gesti di una volta, e tutto fu avvolto da un mantello di emozione, alla quale nessuno dei due poteva sfuggire.

"Non importa, Fabrizio, non importa quanto siamo stati lontani, se ci siamo pensati o meno se siamo stati nella stessa città, se qualche volta ci siamo traditi oppure se ci siamo sentiti in grado di farcela da soli se ci sono state le incomprensioni.
Chi è destinato ad amarsi si incontra sempre in qualche modo, in ogni luogo, in ogni giorno, ogni ora del ricordo, nei sogni che svaniscono al mattino, nell'anima."

Fabrizio la bacia, e ricorda quei baci distratti che le rubava, il sapore che aveva. La vuole.
Lei non sa cosa sta succedendo è ancora frastornata, i cocktail, il suo odore, il fatto che sia svenuta.
Ad un tratto si blocca, forse prende coscienza anche lui del gesto che ha appena compiuto.

"Sono fidanzato, tra qualche mese mi sposo."

Iote-Milano di notte.

Mi alzo lentamente dal divano, barcollo, voglio tornare a casa, voglio mettermi sotto le coperte e non ci voglio pensare perché adesso sto per ricominciare a piangere ma devo trattenermi, è così che fa per molti anni lo ha fatto, rovinerà sempre tutto e non ci capiremo mai, perché mi fanno così male i piedi?

Adesso lascio che si sposi, che viva la sua vita felice, lontano da me.

Lui un po' la insegue ma senza dare nell'occhio la folla lo frena, continua a camminare non ci vuole pensare che lei adesso se ne andrà senza avergli lasciato un numero, un altro bacio, non vuole perderla per l'ennesima volta, anche se sa che è molto vicino dal farlo.

Scesi entrambi giù dal palazzo, Gilda ormai discinta, scalza e con l'acconciatura rovinata inizia a picchiarlo, forte sul petto e piange, di un pianto liberatorio come quello del divano ma più forte.

Lui la tiene forte.

"Un uragano,viene distrugge tutto e poi scappa, va via, io voglio che tu lo smetta di essere che tu rimanga bloccata nel mio spazio, voglio che questa tempesta,diventi un mite pomeriggio di primavera, voglio che tu resti tra queste braccia, voglio che tu renda la mia vita come solo tu sapevi farlo, e soprattutto se ti sto stringendo adesso è perché voglio che tu non mi lasci mai più solo e che non mi mandi quei cazzo di bigliettini di Natale, perché nel frattempo ti sei scordata che sono ateo."

Lei si blocca, pochi secondi di silenzio.
Si guardano e ridono.

Il taxi sfreccia in questa notte, l'unica lo sanno dopo tanti anni di insoddisfazioni, felicità recise dalla mancanza di uno sguardo, di un gesto un abbraccio.

A Gilda il fatto che Fabrizio le sia così vicino non sembra vero, eppure ogni tanto si gira, lo scruta e sorride, con il modo di sorridere che ha da sempre, mordendosi il labbro superiore.

Sta cercando ricordare il nomignolo che gli dava da ragazzo, Moro, perché aveva da poco letto l'isola di Arturo, quando era estate lui aveva una carnagione molto scura ed odiava farsi chiamare così
Chi lo avrebbe detto, presentati da un amico di amici, vorrei iniziare tutto da adesso, eppure....

Eppure lui crede che lei sia bellissima, ma sa che non ci potrebbe mai essere il coinvolgimento di una volta, che quando si amavano era molto meglio di adesso che erano diventati due estranei, e avrebbe si voluto riscoprirla però quanto gli sarebbe costato?
Un cambiamento troppo repentino ad un uomo che odiava cambiare, un cambiamento che avrebbe potuto renderlo più felice, ma sarebbe stato poi veramente così?

"Una porzione di patatine per me, e un Big Mac, per il signor sconvolgi vite qua vicino."

Vestiti elegantissimi entrano verso l'una di notte nel Mac di via Torino, si siedono, parlano come se nulla si fosse interrotto, come se in quei lunghi anni non fosse accaduto proprio nulla.

Lasciano e il locale e si incamminano tra la neve,il freddo nella città ed i testimoni sono il cielo plumbeo, le luci di natale e qualche tram che di tanto in tanto passava, e loro si guardavano e si promettevano cose care e che sembravano richiamare i momenti di felicità trascorsi insieme.
Soprattuto dopo tanti anni avevano ricominciato a ridere e a pensare alle stronzate.
Prima che si avvicinino al portone di Gilda, lei gli dice che non lo inviterà a salire, perché deve alzarsi presto, lui annuisce perché sa esattamente lei cosa abbia voluto dire.
"Ci sentiamo domani, ti chiamo."
"Ci andiamo a prendere un caffè, magari poi ci vediamo nel weekend."
Risponde lei.

 Eppure sanno già che domani mattina dovranno svegliarsi presto, lui dovrà scegliere l'abito di nozze, portare il cane fuori, lei dovrà vedersi la quinta puntata e finire la serie, perché ci saranno altre serate all'insegna di saccheggio di frigorifero e visione di telefilm americani, perché i film francesi li ha già visti tutti.

 Come sanno che un giorno non tanto lontano, si ritroveranno ancora, in qualche posto, in un insolito orario, nella periferia di qualche ricordo.

Perché hanno la stessa anima.



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